venerdì 29 marzo 2019

LATERAL COOKING: TIRIAMO LE SOMME?






A volte penso che se noi dello Starbooks dovessimo fare il test di Facebook sui personaggi delle favole, verremmo identificate, a turno, o con il Grillo Parlante o con i bambini de I vestiti nuovi dell'Imperatore. Non, però, alla fine della storia, quando tutti i tasselli vanno a posto e il primo viene riconosciuto come un saggio e i secondi come eroi: ma durante, quando cioè uno viene preso a scarpate e il grido degli altri ( il re è nudo!) rimane sospeso in quel misto di paura e adulazione in cui, ahinoi, ristagna l'aria che respiriamo. 
Quando è nato questo progetto, infatti, eravamo nel boom dell'editoria gastronomica, a sua volta espressione dell'enorme successo della cucina 2.0, una volta scoperto l'enorme potere mediatico delle ricette. I titoli di settore sfornati ogni anno toccavano cifre a 5 zeri, a 6 ci arrivavano i libri di Benedetta Parodi e, tutto intorno, era un fiorire di una editoria che nascondeva l'ovvia fiacchezza di contenuti e di spunti dietro un paludamento di immagini mai visto prima. La foto era il vero traino del testo, senza nemmeno più l'illusorio conforto de "l'immagine può non corrispondere al risultato" che campeggiava sulle confezioni dei budini in busta o sui preparati delle torte pronte. Ad un marketing onesto nella sua cialtroneria, insomma, si sostituiva la pericolosa convinzione che qualsiasi abito facesse il monaco: bastava la bella foto- e il più era fatto. 
A tenere alto questo vessillo, duole dirlo, siamo stati noi Italiani: per quanto grande sia la nostra tradizione gastronomica, questa sarà sempre superata dalla nostra attitudine a scegliere sempre la scorciatoia, quale essa sia. In questi dieci anni in cui hanno provato a convincerci che assemblare tre ingredienti a caso fosse sinonimo di una ricetta e che bastasse infilare due bacchette in un piatto di spaghetti per cucinare fusion, si è consumata la triste fine della nostra editoria gastronomica, ci siamo giocati l'ultima occasione di poter dettare legge in materia di cibo nel secondo millennio, al di fuori della ristorazione. 
Noi Starbookers, ovviamente, non abbiamo taciuto, anzi: neanche saremmo diventati gli Starbokers se non avessimo trovato in quest'ansia comune di arginare la deriva la spinta che ha dato origine a questo progetto. E' da qui, da questa discrepanza framusica e parole, fra immagine e testo, fra forma e sostanza, che siamo nate e che abbiamo trovato linfa per andare avanti, a dispetto di critiche, derisioni, offese, insulti e minacce (oh yeah): la nostr peggior colpa, oltre al "chi si credono di essere" è stata quella di aver scelto il mondo anglosassone, a dispetto dei libri nostrani, in una sorta di "prima gli Italiani!" ante literram che trova oggi la risposta più compiuta e più autorevole, in questo libro di Niki Segnit. 
Perchè, vedete, Lateral Cooking è un capolavoro. 
E' il libro che mancava, dagli affollatissimi scenari dell'editoria- ed è quello a cui dovremmo fare posto, negli affollatissimi scaffali delle nostre librerie. 
E' il libro di spessore vero, in cui ogni frase, ogni parola, ogni virgola, trasuda competenza e sapere, a conferma che gli otto anni impiegati per scriverlo sono stati spesi in uno studio accurato e preciso, tanto in pratica quanto in teoria. 
E' il libro che, ci auguriamo, invertirà la rotta, dalla superficie alla profondità, nella prospettiva antica e a noi tanto cara per cui  non basta azzeccare una ricetta, per sostenere di saper cucinare. In un mondo di ginnasti impacciati, Lateral Cooking è la chiave per imparare a volteggiare come Nadia Comaneci- e pazienza se gli attrezzi sono mestoli e padelle e il tappeto è quello davanti al lavandino: il concetto è lo stesso ed è quello che le basi servono  tanto per andare avanti, con la sicurezza della conoscenza,  quanto per tornare indietro, con la consapevolezza di un sapere accresciuto e maturato. 
Il tutto condito da una scrittura lieve, autoironica, divertita, divertente, capace di supplire ampiamente alla mancanza delle foto e in cui di nuovo si sente l'eco illustre delle grandi penne dei food writer inglesi alla cui scuola la Segnit ha imparato cosi bene da potersi sedere accanto a loro. 
Se c'è una nota stonata, questa è alla fine, a copertina chiusa, a emozioni decantate, quando all'entusiasmo della scoperta subentra il rimpianto che sia toccata ad altri e non a noi: sarebbe stato bello, cioè, che un libro cosi completo e cosi denso avesse avuto sul frontespizio la firma di un Italiano, in nome di una tradizione che tutto il mondo ci invidia e di un sapere che portiamo stampato nel nostro DNA.
Ma mentre gli Inglesi tenevano botta e anzi,  studiavano  sul serio e crescevano di conseguenza, gli Italians si accapigliavano dal balcone, al grido di "mi ha rubato la ricetta", discettando in modo approfondito solo di post produzione e photoshop, e provando a convincere il resto del mondo che i libri senza immagini fossero superati e che le basi cedessero di fronte alle meraviglie del loro ingegno.
Lateral Cooking è la prova che, al contrario, si può parlare di cibo anche nel modo tradizionale, affascinando e coinvolgendo tanto quanto, a patto che si abbiano chiari i contenuti, gli scopi e i mezzi. Ovvio, qui non si bara: ma una volta che si conosce bene la materia, si possiede la scrittura e, non ultimo, si rispettano i lettori, questa è una strada che si può ancora percorrere, con grande soddisfazione di tutti.
Avevate torto, insomma.
Ma noi ve l'avevamo detto.

giovedì 28 marzo 2019

STARBOOKS REDONE DI MARZO 2019: IL VINCITORE!


Questo Starbooks Redone si conclude con un vero record, credo mai avvenuto prima: tutte le ricette partecipanti sono piatti salati!
Incredibile, visto che di solito sono i dolci a farla da padrone.
Ma bando alle ciance, e veniamo al sodo: la ricetta vincitrice è...

di Le mie avventure in cucina e non




Dalla vincitrice  aspettiamo l'indirizzo alla mail lostarbook@gmail.com per l'invio del gadget Starbook.
E per tutti gli amici dello Starbooks, vi aspettiamo per il redone di Aprile tra pochi giorni!

mercoledì 27 marzo 2019

NUT MEAL SAUCE: TARATOR

La ricetta che ho scelto per chiudere questo capitolo destinato alla frutta, è una salsa, nella fattispecie una salsa pestata di origine mediorientale il cui nome si riferisce però a varie preparazioni.
Il Tarator di cui ci parla Niki Segnit, è quello che prevede negli ingredienti, la presenza di frutta secca: che siano mandorle, o noci o addirittura nocciole, la tarator vuole come nella frangipane, la stessa quantità di ingredienti base, in questo caso frutta secca, latte o acqua, pane e l'elemento legante, ovvero l'olio extravergine.
I più arditi, che cercano una salsa più fluida e gentile, aggiungono a piacere yogurt, o fumetto di pesce (se la servono con lo stesso), tahini, ed aromatizzano con erbe aromatiche a piacere.
La tarator viene servita come dip o spesso accompagna carni alla brace, falafel o, come già indicato, pesce.
Io ho voluto mantenermi sul semplice e l'ho usata come condimento a delle velocissime zucchine novelle cotte alla piastra.

Dosi per c.ca 200 g di salsa

Ingredienti:
100 g di pane bianco (c.ca 2 fette) preferibilmente secco
100 ml di latte o acqua
100 g di frutta secca
1 picchio d'aglio tritato grossolanamente
2,5 g di sale
100 ml di olio d'oliva
1 mazzetto d'aneto spezzettato
15/60 ml di succo di limone o aceto di vino rosso
noci e aneto spezzettato e/o olio di noci per servire.
  1. Ammollare il pane privo della crosta, nel latte o nell'acqua fino a che non diventa morbido, poi strizzatelo
  2. Mettete la fruta secca nel frullatore o nel mixer e tritatela. Aggiungete il pane strizzato, l'aglio ed il sale, poi frullate grossolanamente o finemente, come preferite. (se non avete il frullatore o il mixer o preferite usare un pestello o un mortaio, prima di tutto pestate l'aglio con il sale, poi aggiungete le noci poco alla volta, pestandole fino a ridurle in pasta. Ripetete l'operazione ccon pane. Trasferite il composto nel frullatore o nel mixer e lasciate agire aggiungendo lentamente l'olio, oppure montate gradualmente l'olio d'oliva a mano, come si fa per la vinaigrette e poi continuate dal punto 4. 
  3. Lasciando agire il mixer, aggiungete lentamente l'olio d'oliva.
  4. Aggiungete l'aneto spezzettato, il succo di limone o l'aceto assaggiando mentre procedete. 
  5. Controllate il condimento, poi lasciate riposare fino a che i sapori non saranno amalgamati. 
  6. Guarnite con noci spezzettate, aneto ed uno spruzzo di olio alle noci, o con tutti gli ingredienti assieme. 
NOTE PERSONALI 

  • Premetto che è la prima volta che sento parlare di questo tipo di salsa. Non l'ho mai vista ne assaggiata quindi mi sono buttata alla cieca seguendo le dettagliate istruzioni dell'autrice. Ma leggendo gli ingredienti sapevo già che non avrei avuto vita facile perché se mi aspettavo una salsa fluida od un qualcosa simile ad un hummus, mi sbagliavo ampiamente, visto che l'elemento legante è assolutamente minimo rispetto agli ingredienti secchi (o umidi, visto il pane ammollato). 
  • Ho usato metà noci e metà mandorle, perché avevo paura che la noce desse un gusto un po' troppo amaro all'insieme finale. Ho seguito le sue indicazioni frullando la frutta da sola e poi procedendo frullando tutto il resto. Probabilmente avrei dovuto usare il mio mixer grande anzichè quello a immersione, che ha faticato non poco ad emulsionare tutti gli ingredienti. La tentazione di aggiungere olio è stata irresistibile. 
  • Forse avrei dovuto usare del pane bianco comune invece della mollica del nostro pane toscano, ma ho pensato che quando lo ammollo non diventa colloso come invece altri pani. Il problema è che frullandolo, crea una sorta di "granulazione" con il resto degli ingredienti, ma il mio sospetto è che sia anche a causa del poco olio presente. 
  • Non avendo dell'aneto e volendo usare la salsa con le zucchine, ho optato per della menta fresca e la variante mi è piaciuta molto. 
  • Il risultato non è bellissimo a vedersi: non è una vera salsa morbida e fluida, ma un composto più sostenuto che va quasi spalmato. Non ho assolutamente idea se debba essere così e non ho trovato foto in giro che confermino la riuscita della prova. So solo che al gusto è davvero molto buona, anche versatile perché piò essere aromatizzata a piacere, resa più strong dalla maggiore presenza di aglio o più delicata con l'aggiunta di altra frutta secca. Però non vi so dire se la Tarator deve avere questo aspetto. Magari qualcuno lo sa.
  • In mancanza di conferme e con il beneficio del dubbio, posso solo dire
PROMOSSA 


martedì 26 marzo 2019

SPICY CHOCOLATE FRIANDS


Gli ingredienti della Torta Santiago di cui vi ho parlato ieri sono la base della frangipane, con la sola aggiunta di burro nella stessa quantità degli ingredienti base. Quindi stessa quantità di zucchero, mandorle e burro più uova ed aromi.
Nella frangipane evoluta, si aggiunge anche una piccola percentuale di farina 00 che in genere è più o meno la metà della farina di mandorle.
La frangipane si può realizzare con farina di pistacchio e nocciole, o un misto di farine se vi piace essere creativi, aggiungendo aromi che armonizzino con l'uso che vorrete farne.
Il passo successivo è l'utilizzo del solo albume nell'impasto, che non serve necessariamente a preparare meringhe e macaron, ma che sui banchi di pasticceria francesi, da vita a meravigliosi dolcetti dal nome intrigante di "Financier".
La mia ultima fissazione sono proprio i Financier, o per meglio dire i Friands, che si differenziano dai primi perché all'interno del loro impasto, viene aggiunta della frutta fresca, preferibilmente acidula come lamponi o mirtilli o fragole. Quindi Financier + frutta = Friands.
Perdendomi nel valzer delle possibili varianti ed aromatizzazioni di questi dolci proposti da Niki Segnit, ho avuto una piccola epifania di fronte alla sua personale proposta della versione al cioccolato e spezie.
Mai avrei pensato di poter inserire della cioccolata in queste pastine di mandorle ma mi è bastato leggere queste sue parole: "Mangiarli è come dare un morso a tutte le torte di una pasticceria tedesca; allo zenzero, di frutta, al cioccolato, agli agrumi, speziata e- grazie alla glassa- anche al limone."
Voi cosa avreste fatto?
Ecco...anche io!

Dosi per circa 10/12 tortini 

Ingredienti
100 g di mandorle tritate
50 g di farina 00
150 g di zucchero a velo setacciato
120 g di burro fuso
4 albumi a temperatura ambiente
75 g di cioccolato fondente al 70% grattugiato grossolanamente
25 g di uva passa
2,5 g di cannella in polvere (1 cucchiaino)
2,5 g di cacao amaro
2,5 g di pimento
2,5 g di zenzero
2,5 g di noce moscata appena grattugiata
1 g di sale
Scorze finemente grattugiate di 1 limone ed 1 arancia non trattati
2,5 ml di estratto di vaniglia (1 cucchiaino)
Brandy q.b.
  • Coprite l'uvetta con il brandy o rum (io ho usato del Grand Marnier) e fatela ammollare per qualche ora o tutta la notte.
  • In una ciotola capiente mescolate le mandorle tritate, la farina, lo zucchero a velo, tutte le spezie ed il sale, le scorze grattugiate e l'estratto di vaniglia
  • In un'altra ciotola montate a neve gli albumi ed incorporateli nel mix di mandorle. Aggiungete il burro fuso e raffreddato, il cioccolato fondente e l'uva passa strizzata. Mescolate con cura. 
  • Versate il composto in 10/12 stampini imburrati e fate cuocere a 180° per c.ca 15/20 minuti.
  • Quando i dolcetti si saranno raffreddati ricopriteli con una glassa fatta con 75 g di zucchero a velo e 10 ml di succo di limone. Decorate con scorzette miste. 
NOTE PERSONALI

  • Ho eseguito la ricetta al millimetro ma non avendo uvetta in casa (convinta del contrario), ho utilizzato dei Cranberries e forse, nella sfortuna del caso, ho avuto ragione perché il sapore leggermente acidulo di questi frutti disidratati, si sposa a meraviglia con le mandorle, forse molto di più della zuccherina uva passa. 
  • Non preparateli se non avete della cioccolata ad almeno il 70% di burro di cacao. Serve un cioccolato amaro, ma amaro su serio pena il rischio di un dolcetto stucchevole. Io non ho grattugiato il cioccolato ma l'ho tagliato al coltello abbastanza finemente lasciando qualche scaglia un po' più grossolana (perché si sa che al palato piacciono le sorprese).
  • Le spezie ci vanno. Quei 2,5 g sono più o meno un cucchiaino da caffe raso. Non barate tralasciando qualcosa perché se vi dico che va fatto, fidatevi. 
  • Ho preparato spesso i Friands con le dritte di Ottolenghi (da cui la Segnit confessa di aver preso ispirazione per questi dolcetti), ed il suo consiglio è quello di non montare gli albumi a neve, basta sbatterli fino ad ottenere una schiuma fitta. In più la cottura richiederebbe i primi 10 minuti a 200° ed i restanti 10/15 min a 180°. Questo per ottenere quella adorabile crosticina caratteristica che si forma sulla superficie. La Segnit invece fa sbattere a neve gli albumi e cuoce a 180° per l'intera durata. Io ho dovuto prolungare la cottura di 5/6 minuti ma nella consistenza non ho trovato differenze trascendentali (quindi si può evitare di sbattere come forsennati gli albumi - Ottolenghi docet). 
  • Adesso prendete questa dichiarazione con le molle perché si parla di gusti assolutamente personali: sono i dolcetti più buoni preparati nell'ultimo anno e battono alla distanza molti dolci che ho sul blog grazie ad una complessità di sapori che incanta. La Segnit ha proprio ragione nel dire che è come assaggiare un'intera pasticceria. La consistenza di una torta ricca, piena, ma morbida ed umida. Un profumo che inebria fin dalla preparazione e quello che vi arriva dal forno a cottura, è solo un decimo dell'intensità che avrete all'assaggio. La sensazione dell'amaro che arriva dalla cioccolata ma anche dalle mandorle, in contrasto con la dolcezza di fondo, è quanto di più inaspettato possiate ricevere dal quel primo morso. Però, date retta: aspettate. Aspettate che siano freddi, che siano passate magari due o tre ore, o se potete la mattina dopo, a colazione. Deliziosi con la glassa, assolutamente perfetti al naturale. Mi sono innamorata! 
  • Conservateli ben chiusi in una scatola ermetica: si manterranno morbidi e maturando miglioreranno di giorno in giorno (sempre che al giorno dopo ci arrivino). 
PROMOSSI CON ABBRACCIO ACCADEMICO. 


lunedì 25 marzo 2019

NUT MEAL CAKE: TORTA SANTIAGO


In principio fu il Marzapane.
All'interno di Lateral Cooking vi sono due soli capitoli dedicati ad un ingrediente piuttosto che a delle ricette base e preparazioni: il primo è la Frutta Secca ed il secondo lo Zucchero.
Contrariamente a quanto hanno fatto gli altri Starbooker che si sono concentrati su preparazioni, ho deciso che avrei affrontato il tema della Frutta secca, complice, come per l'autrice, un debole per le mandorle e relativi derivati ed una curiosità sull'impiego e varianti delle diverse farine ottenute dalla macinazione di questi frutti.
Ho avuto più di un momento di sana ilarità leggendo questo capitolo, a partire dalle spassose definizioni del Marzapane fino al racconto delle sue scoperte in fatto di aromi da abbinarvi e svariate meditazioni risultato di avventure allegramente etiliche.
Ho deciso che vorrei un'amica così, spregiudicata e temeraria in cucina, perché si sa che spesso si è  come si mangia.
Il marzapane, come afferma la nostra Niki, è la versione commestibile del pongo.
I suoi ingredienti base sono: farina di mandorle, zucchero, un elemento legante spesso costituito dall'albume o più semplicemente sciroppo di zucchero ed aromi a scelta. L'impasto viene lavorato a freddo e mai cotto ma lasciato asciugare. Le proporzioni per ottenerlo sono facili da ricordare: stessa quantità di farina di mandorle e zucchero. L'elemento legante dovrà essere dosato in modo e nella quantità che consenta agli ingredienti secchi di stare insieme in un composto morbido, malleabile e non appiccicoso.
Nel cerchio della vita del Marzapane, troviamo derivati come il Macaron (badate bene, non il parigino fighissimo dolcetto di meringa dai colori ammiccanti, ma un più semplice marzapane cotto dalla forma incerta, servito spesso su una cialda di ostia), le torte di farina di mandorle tra cui la Torta di Santiago, la crema frangipane ed il versante salato costituito dalla salsa Tarator ed il Fesenjan, stufato con frutta secca.
Ciò che rende i derivati del Marzapane, diversi dalla ricetta Alfa, sono ovviamente le diverse proporzioni di zuccheri ed elementi leganti.
Considerando che fare il marzapane in casa è facilissimo ma che non avrei saputo come utilizzarlo se non trasformandolo in micidiali praline coperte di cioccolato fondente, ho deciso di affrontare ricette più strutturate dal punto di vista tecnico e sono partita dalla Torta di Santiago. Con alterni risultati. 

Dosi per una torta da 23- 25 cm di diametro

Ingredienti
4 uova medie o 3 uova grandi
200 g di zucchero semolato
200 g di mandorle tritate
5 g di lievito chimico
la scorza di 2 arance o limoni grattugiata finemente
10 g di cannella
zucchero a velo per decorare
burro
  1. Montate le uova con lo zucchero semolato finché il composto non diventa chiaro e voluminoso. Potete usare una frusta elettrica ma va bene anche un vigoso attacco con una frusta manuale. 
  2. Mescolate la farina di mandorle, il lievito, la scorza di agrumi di agrumi e la cannella (o altri aromi), quindi incorporateli al composto di uova e zucchero.
  3. Versate il tutto in uno stampo imburrato. Fate cuocere in forno a 180° per 20/30 minuti. Inserite uno stecchino nel mezzo per verificare la cottura. Se lo stecchino è asciutto, la torta è pronta. Potete spolverizzare lo stampo con farina o frutta secca macinata perché l'impasto è appiccicoso.Queste torte vanno controllate spesso perché formano una crosta di zucchero che tende a bruciacchiarsi. Cominciate il controllo dopo circa 17 minuti. Se diventa troppo scura, copritela con un fogli di alluminio per alimenti. 
Quando si è raffreddata, ritagliate una croce di San Giacomo di carta, poggiatela sulla torta e cospargetela di zucchero a velo. Togliete la croce con attenzione. 
NOTE PERSONALI

  • Quella che vedete in foto è la torta del mio secondo tentativo. Sono stata sul punto di rinunciare perché ho avuto un incidente di percorso piuttosto seccante dovuto ad un errore di stampa e soltanto in corso di preparazione ho cominciato a capire che qualcosa non andasse. Nella lista degli ingredienti, alla voce uova, sulla "o" che divide le 4 medie tra le 3 grandi, nel mio libro in italiano, c'è una "e", che non è una "e£ di stampa, ma una "o" trasformata in "e" da uno sbaffo rosso di stampa che io, notoriamente cecata, ho letto come una normale congiunzione. Così ho preparato una massa montata con ben 7 uova, ottenendo una montata stupenda, leggerissima e stabile che mi ha quasi commosso. Quando poi ho aggiunto la farina di mandorle, questa si è distribuita senza problemi né sacche che sempre si formano su masse così dense e bisogna avere pazienza nella fase dell'incorporazione.  Nella mia testa  però continuava a lampeggiare un "warning" sulla quantità di uova, che per una massa montata simile al Pan di Spagna, era davvero eccessiva per quella quantità di zucchero e farina. Ma tant'è, mi sono dovuta fidare di quanto scritto. Morale della favola, ho messo in forno il mio stampo gonfio e lieve come una nuvola e l'ho osservato crescere meraviglioso fino al 17mo minuto. La superficie mi sembrava chiara, quindi ho lasciato che il dolce continuasse la cottura e mi sono allontanata una decina di minuti. Quando il timer ha suonato, sono andata a sbirciare e dal vetro del forno ho visto l'immagine del Vulcano Krakatoa che occhieggiava soddisfatto. Il dolce collassato completamente. Mi sono consultata con le ragazze, con la convinzione che la Segnit avesse davvero scritto uno sfondone, quando poi mi è venuto in aiuto Biagio, con il testo in lingua originale e quella benedetta "or" fra le due quantità. 
  • Al secondo tentativo il risultato è quello che vedete. Come per il pan di Spagna, si usa c.ca lo stesso peso delle uova per gli altri ingredienti. Esempio: per un uovo medio, 50 g di frutta secca e 50 g di zucchero. Per una torta più ricca ed umida, basta aumentare il legante, quindi aggiungere uno o 2 tuorli in più. Un consiglio spassionato: non tritate le mandorle da sole. Comprate della farina, che ha sicuramente una grana più sottile di quella che potreste ottenere voi con il cutter. Più è sottile la farina, migliore e più leggera sarà la distribuzione nella massa.
  • In alcune versioni, le uova vengono divise e gli albumi montati a neve, aggiunti soltanto per ultimi e questa, essendo una torta di "famiglia", può essere trovata in decine di varianti nella procedura di preparazione.
  • Il lievito è stato aggiunto dall'autrice come stabilizzatore e rende la torta meno compatta e più leggera: posso confermare. Anche nei giorni successivi alla preparazione resta deliziosamente soffice e leggerissima. 
  • Dopo la cottura la torta tende sempre ad avere un leggero collasso centrale. Il che, come spiega l'autrice, non la rende la torta più bella del mondo. Da qui la ragione per cui, probabilmente, si usa quel ruffiano dello zucchero a velo. Io ho optato per il capovolgimento, che ha reso più semplice ottenere il simbolo della croce di Santiago usando uno stencil artigianale fatto in casa. 
  • Mi sono innamorata di questo dolce: semplice, inebriante negli aromi, migliore giorno dopo giorno. Ho regalato metà della torta alla mia vicina immobilizzata a casa con una gamba rotta, come una mamma galiziana offre una fetta ad un pellegrino giunto a destinazione dopo molti chilometri di viaggio. Mi ha ringraziata confermando che è una torta meravigliosa. 
  • Servitela con della salsa diplomatica. Farete la felicità di molti. 
  • Dimenticavo: è naturalmente gluten free :)
PROMOSSA 

venerdì 22 marzo 2019

BREAD: PUMPKIN BUNS




Nel capitolo dedicato al pane, Niki Segnit non poteva non parlare dei panini.
A differenza del classico pane, dove i grassi e lo zucchero erano opzionali, nel caso dei panini parliamo di un impasto arricchito: l'acqua viene sostituita dal latte, il burro o l'olio sono sempre presenti e in qualche caso si aggiunge anche un uovo.
La mia attenzione è stata catturata dai panini alla zucca. La ricetta, per l'esattezza, è quella dei pão de abóbora o pão de jerimum brasiliani. 
Nel libro sono presenti sia la versione dolce che quella salata. Per la dolce basta aggiungere una miscela di spezie e aumentare lo zucchero, per la salata l'impasto va aromatizzato con della salvia. 
In ogni caso si tratta di panini sofficissimi, profumati e delicati.
INGREDIENTI

500 g di farina forte (io ho usato una 00 con 12,5 g di proteine)
150 ml di latte tiepido (più altro all'occorrenza)
60 ml di olio (io ho usato un olio di semi di arachide)
6 g di lievito di birra secco 
2,5 g di sale (io ho aumentato a 5 grammi)
Un mazzetto di salvia fresca
250 ml di purea di zucca (io ho preso delle fette di zucca con tutta la buccia, avvolte in carta stagnola e cotte in forno per circa 40 minuti. Ho fatto poi raffreddare e frullato)
1 uovo

Unite l'olio e il latte ed emulsionate.
In una ciotola mettete la farina, il sale e il lievito. Mescolate e fate la fontana, quindi unite la purea di zucca, l'olio e il latte. Iniziate a impastare, quindi unite anche la salvia tritata. Impastate per 8-10 minuti, fino a ottenere un impasto morbido ma non appiccicoso. Se necessario, aggiungete pian piano altro latte (per me non è stato necessario; sono bastati i liquidi già aggiunti e la purea, che era leggermente acquosa).
Se avete lavorato in planetaria, chiudete comunque l'impasto a mano, lavorandolo un paio di minuti su un piano di lavoro leggermente infarinato.
Ungete leggermente una ciotola e trasferitevi l'impasto. Coprite la ciotola e fate lievitare fino al raddoppio. Iniziate a controllarlo dopo 40 minuti.
Riprendete l'impasto, sgonfiatelo e suddividetelo in pezzi da 50 grammi l'uno.
Pirlate i panini e metteteli in una teglia leggermente unta. Fateli lievitare nuovamente per circa 30 minuti.
Accendete il forno caldo a 200 gradi. Spennellate i panini con l'uovo leggermente sbattuto (io ho aggiunto anche dei semi di zucca sopra, per bellezza). Infornate i panini per 12-18 minuti o finché non saranno dorati.
NOTE

- Secondo la ricetta, lo zucchero nella versione salata andrebbe totalmente omesso. Io onestamente ho imparato che un po' di zucchero è sempre utile sia per attivare il lievito che per dare più sapore e colore. Aggiungetene fino a 30 grammi, se vi piace l'idea di un panino semidolce.
- La quantità di lievito è "importante" per i miei gusti. Io sono abituata ad usarne meno. Si ottiene sicuramente un prodotto migliore e più duraturo. Ovviamente bisogna di pari passo allungare i tempi di lievitazione. 
- La ricetta è leggermente "approssimativa" in alcuni punti, come ad esempio per la quantità di salvia (io ne ho aggiunto un bel mazzetto), o per la pezzatura, di cui in realtà l'autrice non parla affatto.
- I panini sono morbidissimi, profumati e delicati. Una volta raffreddati, possono essere tranquillamente surgelati.
- E ora le note dolenti. Personalmente ho la versione del libro in italiano. Purtroppo ho dovuto constatare che la traduzione è stata fatta a dir poco in maniera approssimativa. Il problema è che, quando questo succede con dei libri di ricette, si rischia di buttare via ingredienti preziosi, oltre che tempo. La trovo una cosa inconcepibile. Soprattutto se si tratta di errori grossolani, come in questo caso. L'errore riguardava la quantità di latte. La versione italiana dice di usare "la metà del latte" (previsto dalla ricetta base dei panini, ndr) e infine di "versare il latte restante"... ovvero l'altra metà? Detta così, ci si potrebbe sbagliare e pensare di dover unire tutti i 300 ml di latte previsti dalla ricetta originale. In realtà l'inglese dice di unire metà del latte (150 ml) e, solo all'occorrenza, parte dei 150 ml rimasti. Per fortuna io me ne sono accorta, ma solo perché ho una certa dimestichezza con il pane e già a occhio avevo capito che sarebbero stati troppi liquidi in rapporto alla farina. Ma mi chiedo: e se a fare questi panini fosse stato un neofita? O semplicemente qualcuno distratto? Avrebbe buttato farina, olio, latte e tutto il resto. E questo per un grossolano errore di traduzione, per un lavoro fatto in maniera superficiale. E' una cosa sulla quale non transigo.

-Nonostante tutto, la responsabilità di questa cosa non è certo dell'autrice. I panini ci sono piaciuti tantissimo, è davvero un bell'impasto piacevole da maneggiare e credo che utilizzerò la ricetta base per diverse altre varianti, quindi la ricetta è 

PROMOSSA A PIENI VOTI

giovedì 21 marzo 2019

BREAD: BATH OLIVERS




Dopo avervi parlato di creme, impasti e torte, arrivo io con un capitolo a dir poco sostanzioso: quello dedicato al pane.
Dato il mio amore sconfinato per i lievitati, la scelta è stata forse un po' scontata. In realtà ero curiosa di capire come Niki Segnit affrontasse l'argomento. 
Il pane, infatti, è considerato come uno degli alimenti più semplici al mondo - nato dall'unione di farina, acqua (o un altro liquido) e lievito, all'occorrenza - eppure, dietro questa apparente semplicità racchiude un universo tutto da scoprire e che mi ha sempre affascinato.
Come nelle altre sezioni del libro, anche qui il capitolo è suddiviso in più sottosezioni. Io ho scelto, per questa prima ricetta, di dedicarmi a quella riguardante i pani lievitati, ma curiosamente ho scelto di fare dei cracker.
Dei cracker lievitati, per l'esattezza. 
In pratica, partendo sempre da un impasto base molto simile a quello del pane lievitato (ma molto meno idratato), nascono dei cracker tanto particolari quanto semplici, dal sapore neutro, che si abbinano divinamente sia col dolce che con il salato. 
La ricetta proposta dalla Segnit è una versione riadattata di quella presente in The Domestic Dictionary del 1842 e inventata una cinquantina di anni prima dal Dottor William Oliver. Pare che il dottore in questione, che curava i suoi pazienti con le acque termali della località inglese di Bath, avesse inventato un panino dolce (il Bath Bun) di cui i suoi pazienti andavano ghiotti. Notando un aumento di peso in molti di loro, però, il dottore creò la ricetta di questi cracker, decisamente più leggeri.
 
 
Ingredienti:
 
500 g di farina forte (io ho usato una 00 con 12,5 g di proteine)
6 g di lievito di birra secco
2,5 g di sale
75 g di burro
225 ml di latte

Fate sciogliere il burro nel latte caldo. Unite i liquidi alla farina e aggiungete anche il sale e il lievito. Lavorate l'impasto finché non sarà liscio, poi avvolgetelo in un panno o nella pellicola per alimenti. Fate riposare per 15 minuti. 
A questo punto, riprendete l'impasto e fate un giro di pieghe come per la pasta sfoglia: stendete il panetto e formate un rettangolo; con il lato corto davanti a voi prendete il terzo inferiore della pasta e ripiegatelo verso il centro; fate lo stesso con la parte superiore, arrivando quasi a unire le due estremità al centro; piegate quindi una parte sull'altra, formando come un libro (avrete così effettuato un giro di pieghe a 4).
Stendete ora l'impasto fino allo spessore di una moneta (avrei voluto sapere che tipo di moneta... io ho pensato a 1 centesimo, ad esempio, perché l'ho immaginato molto sottile). Bucate la superficie della sfoglia e ritagliatene dei dischi piuttosto grandi.
Fate cuocere i cracker in forno, su una teglia leggermente unta (io di burro, ma l'ho giusto sporcata) a 140 gradi per 20 minuti.
I cracker non dovranno dorarsi, ma piuttosto seccarsi.
 
 
Considerazioni:
 
- Personalmente non avevo mai sentito nominare né tantomeno assaggiato questi cracker, quindi mi sarebbe stato utile avere qualche indicazione in più circa la grandezza, quantomeno. Io alla fine ho utilizzato due coppapasta di diverse dimensioni, ovvero di 5 e 10 cm di diametro.
 
- Ho trovato l'impasto molto secco, ma non ho aggiunto acqua volutamente. E' stata però una faticaccia lavorarlo. Del resto, dopo il riposo la maglia glutinica si è allentata ed è stato un po' più semplice. Non abbastanza però da stenderlo a mano. Onestamente ci ho provato e i primi li ho cotti comunque, ma erano decisamente troppo spessi, nonostante ci avessi messo tutta la forza e l'impegno del mondo. Se stesi troppo alti, infatti, i cracker non diventano croccanti e perdono la loro caratteristica principale. Un passaggio in sfogliatrice ha risolto tutti i miei problemi. Probabilmente il Dr. Oliver non avrebbe approvato, ma nel 2019 direi che possiamo anche semplificarci la vita per ottenere un prodotto migliore.
 
- Il passaggio delle pieghe potrebbe quasi sembrare superfluo vista la rigidità dell'impasto di cui sopra, ma in realtà è fondamentale affinché si formi una bella sfogliatura che rende il cracker leggero.
 
- Il gusto dei cracker è abbastanza neutro, leggermente burroso, e davvero stanno divinamente con formaggi morbidi e stagionati, con salumi e dip di vario genere. Possono ricordare i cracker all'acqua che si trovano in commercio, ma ovviamente con il burro al posto di - boh - probabilmente grassi idrogenati o chissà che altro.
 
- Conservati in una scatola a chiusura ermetica durano tranquillamente qualche giorno, quindi sono anche comodi da tenere in casa all'occorrenza.

Chiaramente, dunque, la ricetta è 

PROMOSSA

mercoledì 20 marzo 2019

CAKE AND BISCUITS: LIME & CLOVE BISCUITS



Arriviamo ai biscotti.
 La ricetta di base per i biscotti ha la seguente ratio: 1:1:2 (zucchero: burro: farina). 
Come sottolinea la Segnit, non è che un punto di partenza. La fantasia si può sbizzarrire, ferocemente. Per dei biscotti più dolci la ratio potrebbe essere 2:1:2 (zucchero e farina si equivalgono) o per chi non ha problemi di colesterolo 3:5:6.
Anche qui le variazioni abbondano: dai biscotti con fichi, mandorle e semi di finocchio a quelli natalizi di zenzero, con tanto di figurina umana (tanto amati dalla regina Elisabetta I che amava mangiarne le teste, pensando e nominando, forse, i suoi nemici…)
 La ricetta dei biscotti al lime e ai chiodi di garofano è una variazione su una ricetta quasi uguale dello chef neozelandese Peter Gordon che aggiunge al suo “shortbread” dei pinoli.



Ingredienti per 20-24 biscotti

100 grammi di brown sugar
100 grammi di burro
200 grammi di farina
buccia grattugiata di 3 lime
½ cucchiaino di chiodi di garofano, pestati nel mortaio, al momento
1 manciata di pepe nero, macinato al momento
½ cucchiaino di lievito per dolci


Metodo

Con un cucchiaio di legno, sbattere il burro a temperatura ambiente con lo zucchero finché il composto non diventi chiaro e morbido. 
È cruciale che il burro non sia caldo, né già sciolto, altrimenti i biscotti risulteranno unti e non cresceranno. 
Incorporare la farina setacciata con il lievito, senza mescolare eccessivamente, altrimenti si svilupperebbe troppo glutine.
Formare un cilindro con l'impasto, avvolgerlo in pellicola per alimenti e metterlo in frigo mezz'ora.
Riprenderlo, srotolarlo con cura e tagliarlo a fette di circa 4-5 mm di spessore.
Infornare in forno preriscaldato a 180 gradi per circa 15 minuti, lasciando uno spazio di circa 2,5 cm tra un biscotto e un altro. Se si vuole, abbellire l’impasto dei biscotti con una leggera pressione dei rebbi di una forchetta.
Il forno deve essere caldo alla temperatura stabilita, altrimenti il burro dell’impasto comincerà a sciogliersi prima ancora di cuocersi. Far raffreddare i biscotti, dopo averli rimossi dal forno con cautela, su una griglia.


NOTE

L’Autrice raccomanda di non sostituire il lievito per dolci con bicarbonato di sodio nei biscotti. Il lievito infatti crea dei biscotti più soffici, mentre il bicarbonato, non avendo ingredienti sufficientemente acidi per attivarsi, darebbe ai biscotti un gusto metallico.

Non esagerate con i chiodi di garofano freschi. Darebbero un peso eccessivo al gusto dei biscotti. Il loro aroma, unito al lime e a quella geniale manciata di pepe nero macinato al momento, è di tutto rispetto.
Tutto combina nel palato, perfettamente. Con un pizzicorino in più.
Li ho portati a casa di amici. Li abbiamo degustati gli adulti con del limoncello, i bambini (ma anche noi, per provare…) con del succo di una macedonia di fragole e limone.
Avevo timore che i bambini potessero non apprezzare il gusto un po’ pungente dei biscotti. Mi sbagliavo. I 24 biscotti hanno avuto breve esistenza.

Si fanno ad occhi chiusi e si mangiano in un baleno.
What else?

La ricetta è PROMOSSA 
(anche dai bambini presenti)!

martedì 19 marzo 2019

CAKE AND BISCUITS: BOLO DE FUBÀ COM ABACAXI




La sottosezione dedicata ai famosi e facili da memorizzare “quattro-quarti” (il peso delle uova è uguale per zucchero, burro e farina) propone una serie molto interessante di sapori e variazioni. 
È quello che mi piace di questo libro senza figure… se ci fossero le figure, sarebbe un vero e proprio nuovo Artusi contemporaneo della cucina!
Dalla torta di grano saraceno alla famigerata torta di carote, dalla Sachertorte alla torta al cioccolato della mamma di Niki Segnit, dalla torta al sambuco a quella piena zeppa di frutta secca e all’Amor Polenta, della tradizione culinaria lombarda.
Con mia grande sorpresa, la Segnit racconta che ha realizzato per  una sua amica brasiliana (udite, udite!) la localmente celeberrima “Torta di polenta” (“Bolo de fubá”). 
Non c’è famiglia brasiliana che non la faccia. Ma questa proponeva delle variazioni che mi hanno molto ma molto incuriosito.
In questa versione, infatti, Niki Segnit include nell’impasto una meravigliosa invenzione: delle fettine di ananas finemente tagliate. 


INGREDIENTI

Sulla base di 4 uova medie o 3 grandi (peso di circa 200 grammi):  
200 grammi di burro,
farina suddivisa in 150 grammi di farina di mais fine e 50 grammi di farina 00
100 grammi di zucchero
circa 500 grammi di ananas a pezzi
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di essenza di vaniglia (opzionale)
1 cucchiaino di lievito per dolci
2 cucchiai di latte 


Imburrare leggermente una teglia alta di 20 cm di diametro e foderarla con della carta forno. Preriscaldare il forno a 180 gradi.
Con un cucchiaio di legno, sbattere il burro a temperatura ambiente con lo zucchero finché il composto non diventi chiaro e morbido.
Sbattere le uova con la vaniglia, aggiungerle gradualmente al composto di zucchero e burro, poi incorporare la farina di mais fine e la farina setacciata con il lievito e il latte. Per ultimo aggiungere le fettine finemente tagliate di ananas. Mescolare il tutto e infornare per circa 45-55 minuti. 
Farà fede la prova stecchino. 


NOTE

-Ho preparato la torta di polenta ai miei amici brasiliani senza dire, però, dell’aggiunta dell’ananas. Sono rimasti sorpresi positivamente e qualcuno mi ha detto che si poteva fare con altra frutta locale, più esotica e che sarebbe introvabile in Europa o comunque fuori dal Brasile (come la “jaca”).

-La frutta permette che il dolce non sia stucchevole, ma sempre umido e morbidissimo.
Nel mio forno ci sono voluti 50 minuti.
Lo zucchero si può diminuire, come dice la stessa Segnit, se la frutta dovesse essere molto dolce. A me piacciono i dolci “dolci”… perciò ho usato tutti i 100 grammi di zucchero proposti, ma riconosco che, effettivamente, 80 grammi sarebbero stati sufficienti.

-Ovviamente, ho usato ananas fresco. Ma si possono usare due lattine da 430 grammi di ananas in conserva per ottenere i 500 grammi di frutta al netto.  

-Il latte, Segnit dixit, si può omettere. È solo per rendere meno denso l’impasto. Io l’ho omesso perché le fette di ananas, che ho tagliato molto finemente, rilasciano pur sempre del liquido, anche dopo asciutte.

-Penso che anche i mirtilli farebbero una signora figura in questa torta, ma sarebbe una torta poco brasiliana e più nordica… a voi la scelta.

Per me la ricetta è  
PROMOSSA “MUITO BRASILIANAMENTE”

lunedì 18 marzo 2019

CAKE AND BISCUITS: LEKACH (HONEY CAKE)








Nell’introduzione alla sezione “Cake and Biscuits”,  Niki Segnit ricorda che l’aroma di una “Victoria sponge” non è altro che il risultato di quattro ingredienti ben armonizzati: farina, zucchero, burro e uova. Ma la grande differenza tra torte e biscotti è data dalle uova. 
A questo punto, la Segnit comincia a dividere la sezione in ulteriori grandi gruppi: “Angel Cake” (denominata come una “meringa fortificata dalla farina”; “Genoise”, con variazioni portoghesi e giapponesi (la celebre torta “kasutera”); la “Quattro Quarti” e il “Gingerbread”, in cui la Segnit include tutti i dolci scuri, appiccicosi, densi. 
La torta al miele che vi presento fa parte di quest’ultima sotto-sezione.
Il “Lekach”, è un dolce tradizionale del Capodanno ebraico, il Rosh Hashanah. 
Niki Segnit racconta con ironia pungente, quell’ironia che la caratterizza nella sua scrittura originale, che i suoi amici ebrei non amano per niente questa torta perché spessissimo risulta molto secca e quasi soffocante. Non è il caso di questa ricetta. Andiamo a vedere. 


INGREDIENTI 

200 g di farina
½ cucchiaino di bicarbonato di sodio
2 cucchiaini di cannella in polvere
2 cucchiaini di mix di spezie (ho usato cardamomo, pepe, zenzero e chiodi di garofano, battuti nel mortaio)
½ cucchiaino di noce moscata grattugiata al momento
qualche pizzico di sale
100 ml di olio vegetale
100 ml di miele
100 ml di caffè freddo
100 g di zucchero semolato
100 g di soft brown sugar (zucchero semolato con aggiunta di melassa)
1 uovo


Setacciare tutti gli ingredienti secchi (cioè farina, bicarbonato, cannella, il mix di spezie, la noce moscata e il sale) e mescolare il tutto. Creare una fontana al centro degli ingredienti secchi e aggiungere gli ingredienti umidi (olio, miele, caffè, zucchero, soft brown sugar, uovo). 
Mescolare bene. Versare l’impasto in uno stampo da plum-cake da 900 grammi (le misure variano ma potrebbero essere 23 x 13 x 7 cm) e infornare in forno preriscaldato a 160 gradi per circa 45-55 minuti. 
Controllare dopo mezz’ora perché, nel caso la parte superiore sia troppo scura, sarà necessario porre un foglio di alluminio perché non bruci. Far raffreddare per 15 minuti e poi sformare. 




NOTE

- La torta rimane molto umida, e non c’è alcun pericolo di soffocamento o di odio verso le festività comandate… Tutti i sapori sono quasi magicamente esaltati, specialmente, la cannella e la noce moscata, ma senza che uno prevalga in modo indecente sull’altro.

- Avevo già provato, alcuni anni fa, una torta ebraica al miele, in Ungheria, ma la consistenza era più vicina alla suola di una scarpa che a un impasto dolce. Con questa ricetta mi sono dovuto assolutamente ricredere, con mia grande allegria.

- Il gusto della torta dipenderà dal miele che si è utilizzato, come la stessa Segnit sottolinea. Personalmente ho usato un miele di eucalipto. È stata un’ottima scelta.
Nel mio forno la torta si è cotta in 45 minuti. Meglio non lasciarla troppo per non avere il rischio dell’effetto “scarpa” (non si sa mai…).

- Il giorno dopo la torta era ancora perfettamente umida, scura e scioglievole.

La ricetta è 
PROMOSSA CON LODE


venerdì 15 marzo 2019

PASTRY: TAGLIATELLE

Seconda puntata del capitolo Pastry- Impasti.
Nel continuum pensato da Niki Segnit, la pasta si trova dopo lo strudel.
L'impasto si può preparare con acqua e farina più olio o uova, che sono opzionali. La ricetta base però, prevede solo farina e uova. Si lavora l'impasto e si lascia riposare, poi si stende in sfoglie sottili, più o meno come quello dello strudel. La differenza è che qui, il rapporto tra uova e farina, è come quello tra grassi e farina che c'è nella pasta frolla 1:2. Se pensate che un uovo medio pesa 55 g circa, di cui 25 g sono il tuorlo, di conseguenza, per 100 g di farina, si useranno 1 uovo intero o due tuorli per la maggior parte delle ricette.




TAGLIATELLE AL CURRY CON GAMBERI

Ingredienti per 2 porzioni di pasta

200 g di farina 00
qualche pizzico di sale
2 uova o 4 tuorli
12 g di curry in polvere

per il condimento (mia ricetta)

una dozzina di gamberi medi
burro salato q.b.
olio extravergine d'oliva q.b.
sale e pepe bianco appena macinato 

Setacciare la farina su una spianatoia o in una ciotola capiente, unendo anche il sale. Unire il curry in polvere, mescolando bene. Creare un fontana al centro e versarci le uova. Lavorare l'impasto con la punta delle dita, poi impastarlo per 5-10 minuti fino a renderlo omogeneo.
Coprire con pellicola per alimenti o con un canovaccio pulito e lasciarlo riposare per almeno 30. minuti. Se non lo userete per un tempo lungo, mettetelo in frigorifero.
Stendere l'impasto con la macchina apposita o con il matterello, fino ad ottenere una sfoglia dello spessore di 1,5 mm. L'autrice scrive che non vale la pena, per così poco impasto, usare la macchina per stendere la pasta. Sono decisamente d'accordo con lei!
Arrotolate la sfoglia e ricavate le tagliatelle. Se non le utilizzerete subito, fatele asciugare a temperatura ambiente, potrebbero volerci anche due giorni, e conservatele in un contenitore ermetico fino a 6 mesi, a meno che non contengano ingredienti che potrebbero deteriorarsi.



Per il condimento, togliere carapace e testa dai gamberi, mettendoli da parte. Incidere il dorso dei gamberi ed eliminare il filamento dell'intestino. Risciacquare velocemente. Dividere in due-tre pezzi e tamponare con carta assorbente da cucina. Tenere in frigorifero, coperto, fino all'uso. Con il carapace e qualche testa, preparare il fumetto. Fate rosolare brevemente in una pentola, con poca cipolla, qualche grano di pepe, un paio di pomodorini tagliati a metà e un filo d'olio. Unire circa mezzo litro d'acqua e ridurre ad un terzo su fuoco vivace. Filtrare, premendo i gusci, e tenere da parte. Cuocere i gamberi su fuoco vivace con il burro salato per pochi minuti. Regolare di sale e pepe. Cuocere la pasta in acqua bollente salata per 2-3 minuti, tenendola al dente.
Unire qualche cucchiaiata del fumetto nella padella dei gamberi, scolare la pasta e mantecarla in padella con il condimento. Unire olio a crudo e servire.


NOTE

- sul libro non trovate la ricetta del condimento. Io ho preso spunto dalle note della Signit, quando menziona lo chef Jean-Georges Vongerichten, che aromatizza l'impasto con il curry e consiglia l'abbinamento con cozze, scampi, etc...

- l'autrice spiega che, John Wright, consiglia di spargere tutta la farina che volete sulla spianatoia  quando stendete la pasta, ma la Signit spiega che l'ideale sarebbe utilizzare farina senza glutine, come amido di mais o semolino, per evitare di rendere l'impasto appiccicoso o duro. In base alla mia esperienza, vi dico che di farina sulla spianatoia ne serve poca o niente, se utilizzerete 220 di farina per due uova. Ma è comunque un'indicazione, perché dipende anche dall'assorbimento della farina. La pratica vi farà capire qual è la giusta consistenza dell'impasto ;)

- secondo Niki Segnit, gli aromi uniti all'impasto non donano molto al gusto, salvo alcune eccezioni, come il curry. Le varianti più interessanti non sono quelle con l'aggiunta di aromi (che funzionano più per la vista che per il palato), ma quelle  in cui si utilizzano farine diverse dalla bianca: sono d'accordo!

- la pasta aromatizzata al curry ha riscosso un notevole successo in casa mia, tanto che ho in programma la versione con le cozze ;)


La ricetta è:

PROMOSSA!!!


giovedì 14 marzo 2019

PASTRY: STRUDEL

Sfogliando "Cucina Laterale" di Niki Segnit, si capisce subito il lavoro immane dell'autrice, e perché la stesura del libro abbia richiesto otto anni di ricerca e lavoro!
Mi è piaciuta molto la prefazione al libro scritta da Yotam Ottolenghi, che fa venir subito voglia di leggere il libro... Vi riporto alcuni passaggi: "...Non mi capita spesso di sorridere leggendo dei libri di cucina, ma con i libri di Niki Segnit è diventata un'abitudine"
E poi: "... Cucina Laterale è del tutto privo di ansia perché presenta delle ricette 'aperte': accanto alla versione canonica Niki Segnit offre una serie di varianti ed è questo che le mantiene vive. Data la generosità degli strumenti dati, Niki Segnit dona al lettore sicurezza e libertà di sperimentare".

Io mi sono tuffata nel capitolo dedicato agli Impasti, con la curiosità a mille, e con la voglia di esplorare più a fondo questo mondo che già amo, cercando di imparare il più possibile dal lavoro della Signit. 
Si parte dalle "ricette base", che forniscono appunto la base di partenza. Si prosegue con la sezione "inoltre", che illustra i possibili adattamenti e le sostituzioni degli ingredienti, seguita dalla sezione "aromi e varianti", in cui vengono illustrate le diverse direzioni che un piatto può prendere, e che dovrebbero aiutare il lettore a sperimentare :)
La successione studiata dall'autrice è: impasto con acqua calda → strudel → pasta → pasta frolla, pasta dolce e grassa → pasta sfoglia.

Ho scelto lo strudel, perché è un dolce che amo, e perché stavo aspettando la visita di mio papà, che adora questo dolce...

L'impasto ha un rapporto tra acqua tiepida e farina di 1:2, a cui si aggiungono poco grasso (olio o burro), tuorlo d'uovo e succo di limone. Queste aggiunte donano all'impasto la caratteristica di essere steso in una sfoglia molto sottile senza che si rompa. L'acqua tiepida (o calda) distende la maglia glutinica, rendendo l'impasto malleabile e facile da stendere. Le farine consigliate sono la 00 o la farina forte, perché contengono più glutine rispetto alla farina per dolci. Il succo di limone (vino o aceto) ha la funzione di rilassare il glutine semplificando la lavorazione dell'impasto.

L'impasto va tirato ed allungato fino allo spessore di un collant 40 denari. Non sono previsti aromi e varianti per l'impasto, le uniche modifiche che si possono apportare sono per il ripieno. I ripieni classici sono: mela, ciliegia, albicocca e semi di papavero tritai, a cui si possono unire frutta secca spezzettata, briciole di torta o pane, che servono ad assorbire i succhi rilasciati dalla frutta.



Ingredienti per uno strudel da 6-8 porzioni

250 g di farina forte (o farina 00)
qualche pizzico di sale
125 ml di acqua tiepida
15 ml di olio blando (o burro fuso)
5 ml di succo di limone (o aceto di vino, di sidro o bianco)
1 tuorlo (rende l'impasto più ricco, più soffice e più croccante e scuro da cotto)
burro fuso per spennellare

Setacciare la farina in una ciotola, unire il sale poi creare una fontana al centro. Mescolare acqua. olio, succo di limone e tuorlo e versarli nella fontana. Lavorare il composto fino ad ottenere un impasto leggermente appiccicoso, unendo altra acqua, poco per volta, se necessario.
Impastare ancora fino a che l'impasto non risulterà più appiccicoso, ma ancora morbido. Non dovrebbe essere necessario infarinare il piano di lavoro, ma un po' di farina si può usare, se necessario.
Spennellare leggermente la superficie dell'impasto con olio e mettere a riposare sotto una ciotola tiepida per 30 minuti.
Coprire un ampio piano di lavoro con un panno pulito o della carta forno, leggermente infarinati. Stendere l'impasto fino a farlo diventare abbastanza sottile, poi proseguire con le mani (togliendo i gioielli), facendo scivolare i pugni sotto l'impasto e allargarlo dal centro verso l'esterno, senza lacerare la pasta. Il risultato dovrebbe permettervi di vedere attraverso l'impasto. Se si dovessero creare dei piccoli buchi, non disperate, non daranno problemi una volta arrotolato l'impasto. Eliminare i bordi spessi. Spennellare con burro fuso.

Per il ripieno con le mele

Sbucciare e detorsolare 750 g di mele acidule e tagliarle a spicchi. Tagliare gli spicchi a pezzetti (io a fettine) ed unirli al succo di un limone e alla sua scorza, grattugiata finemente. Unire anche 50-100 g di zucchero, 25 g di mollica di pane e 2,5 g di cannella in polvere. Si può unire anche della frutta secca spezzettata o altre spezie.

Per assemblare lo strudel, si può cospargere il ripieno in modo uniforme sull'impasto, oppure mettere tutto il ripieno a forma di salsicciotto su uno dei lati lunghi dello strudel, lasciando un bordo di qualche cm, da capovolgere sul ripieno prima di arrotolarlo.
Usare il panno o la carta forno per arrotolare lo strudel, poi trasferirlo sulla placca da forno leggermente unta, dandogli la forma a ferro di cavallo, se volete. Spennellare con altro burro fuso. Accertarsi che i lati corti siano ben ripiegati.



Cuocere in forno a 190° C per 30-40 minuti o finché la superficie non diventa dorata e croccante.
Se il ripieno è dolce (come nel mio caso), spennellare lo strudel con altro burro fuso dopo la cottura e spolverizzare con zucchero a velo.


NOTE

- la ricetta che seguo di solito per preparare lo strudel non prevede il tuorlo nell'impasto, ma questa aggiunta lo ha effettivamente reso più croccante e dorato: grazie Niki!

- la stesura dell'impasto può spaventare, ma se l'impasto è ben lavorato, e avete un po' di manualità, non avrete problemi

- io ho dovuto unire poca farina all'impasto, circa un cucchiaio scarso, perché era troppo appiccicoso, complice la giornata piovosa... praticamente l'unica degli ultimi mesi!

- quando trasferite lo strudel dal panno alla placca da forno, ricordate di tenere la chiusura sotto, in modo che non si apra in cottura

- la prossima volta che preparerò lo strudel, invece di cospargere il ripieno sull'impasto, proverò a formare un salsicciotto e arrotolarlo, proprio come suggerisce l'autrice. Credo che la pasta diventerà più croccante e tenderà a sfogliare

- parte del pane (pangrattato per me), l'ho cosparso sulla sfoglia, il resto l'ho aggiunto alle mele

- nel ripieno ho aggiunto noci spezzettate e uvetta, a occhio ;)

- se avete tempo, preparate anche una salsa alla vaniglia perché con lo strudel va a nozze. In alternativa, un po' di panna montata o una pallina di gelato alla vaniglia, si sposeranno comunque a meraviglia!

- con le dosi indicate, farete felici anche più di 6-8 persone, ma solo se sono poco golosi... Vi dico solo che, mio papà, è arrivato mentre stavo per farcire lo strudel e mi ha detto che ne stavo preparando troppo, per poi mangiarne tre porzioni dopo cena, più due la mattina successiva a colazione :)

- maneggiare e lavorare l'impasto dello strudel è terapeutico: provate!!!

A domani, con la seconda ricetta!!!

La ricetta è:


PROMOSSA CON APPLAUSI




mercoledì 13 marzo 2019

CUSTARD: WHITE CHOCOLATE CREME ANGLAISE WITH TOASTED PISTACHIOS




Il filo magico che abbiamo iniziato a tendere ieri semplicemente mescolando uova ed un liquido continua oggi con una preparazione della quale, confesso, fino ad oggi, non andavo particolarmente entusiasta.
Ebbene si, dopo la crema cotta al forno eccone un'altra che invece si realizza sul fornello: la super classica crema inglese.
Nel libro viene chiamata con il nome francese "crème anglaise" perchè in inglese sempre una "custard" sarebbe e quindi difficile differenziarla da tutte le altre solo dal nome.
Dicevo, ne ho fatte tante di creme inglesi.
La primissima mi venne una meraviglia, grazie alla fortuna del principiante che mi ha spesso assistito nelle prime volte, per abbandonarmi miseramente nelle seconde.
Eh si perchè dopo la prima, setosissima e perfetta, ne sono arrivate altre stracciate, separate e mezze frittate.
Quindi mi sono convertita al termometro da pasticceria che ha risolto ogni problema.
Eh si, perchè la crema inglese, che in realtà è una salsa e non una crema vera e propria, non è una preparazione semplicissima e, come ribadisce l'autrice, non le interessa se state ascoltando la radio o partecipando ad un'asta su Ebay: necessita di attenzione costante e vigile, e di pazienza.
Che venga bene dipende dalla quantità che ne state preparando, dal materiale della pentola usata, dalla potenza del fornello e chissà, magari pure dalla eventuale opposizione di qualche pianeta.
La versione base richiede un tuorlo, un cucchiaio di zucchero ed 100 ml di liquido (latte o panna).
Da qui, di nuovo, si parte per esperimenti infiniti sia per quello che riguarda gli aromi usati (dalla classica vaniglia, ai liquori o alle spezie) che i liquidi utilizzati: versioni salate prevedono brodo di pollo e limone, che la trasformano in una via di mezzo tra maionese e salsa olandese, o una addirittura arricchita con midollo e servita in un ristorante americano con bruschetta ed ossobuco!
Per non parlare poi del fatto che la crema inglese è la base di partenza per la bavarese, per realizzare la quale si aggiungono panna ed albumi montati....ma questa è un'altra storia.
Come dicevo, la crema inglese è usata di solito come salsa, ma nel diciannovesimo secolo godeva di dignità di dessert a sè stante, arricchita da frutta secca o altri aromi.
Ma ecco che arriva Ferran Adrià, famosissimo per essere stato il pluripremiato chef del ristorante El Bulli: ebbene, lui realizza un dolce partendo da una crema inglese ralizzata con tutta panna, con aggiunta di cioccolato bianco con pistacchi tostati.
Cadere in deliquio alla sola lettura è stato un tutt'uno ;)



WHITE CHOCOLATE CREME ANGLAISE WITH TOASTED PISTACHIOS

250 ml di panna fresca
1 tuorlo e mezzo (si, lo so...)
37 g di zucchero
sale
225 g di cioccolato bianco spezzettato
pistacchi tostati 


Sbattere i tuorli con lo zucchero ed il sale e nel frattempo far scaldare la panna fino quasi al punto di ebollizione.
Toglierla dal fuoco e versarla lentamente sui tuorli, mescolando velocemente, quindi rimettere tutto su fuoco basso, sempre mescolando, finchè la crema addenserà leggermente e velerà il cucchiaio  (un dito passato sul retro del cucchiaio deve poter lasciare una traccia ben visibile e netta).
Se si possiede un termometro da pasticceria, basta arrivare ad 80 gradi.
A questo punto versare immediatamente la crema in un recipiente che contenga il cioccolato bianco e lasciare riposare il tutto un paio di minuti prima di mescolare energicamente per amalgamare.
Versare quindi in sei coppette e spolverizzare con i pistacchi tritati.
Servire a temperatura ambiente o fredda di frigo.


NOTE

- sul tuorlo e mezzo lo so che state alzando gli occhi al cielo. Per quanto Niki Segnit incoraggi a prendersi delle libertà con le ricette ed a seguire un approccio più rilassato, la sottoscritta ha ancora dei limiti dovuti all'essere un po' un "control freak", come si dice, cosa che mi ha fatto molto rimpiangere che non ci fosse la grammatura. La ricetta base della crema inglese da cui si parte per questa preparazione prevede 3 tuorli e 500 ml di panna, da dimezzare. Cosa che ho fatto alla lettera. Si, mi chiamo Stefania ed ho sicuramente un problema :)

- non era la prima volta che preparavo la crema inglese anche se mai con solo panna, sempre tagliata con del latte. Ovviamente il sapore e la consistenza ne acquistano moltissimo. Per la cottura avendo una certa pratica ormai ho smesso il termometro che mi ha invece aiutato le primissime volte ( e sono riuscita a far stracciare la crema anche con quello, per un'occhiata di troppo al cellulare).

- il cioccolato bianco usato è di ottima qualità e questo aiuta a far si che il dolce non risulti stucchevole. E' comunque una crema molto ricca, ne basta una piccola porzione, e va necessariamente completata con qualcosa. Oltre ai pistacchi e sale nero mostrato qui ho amato alla follia una seconda versione con nocciole tostate e lo stesso sale nero che vi consiglio caldamente di provare. Anche frutta acidula comunque farà la sua figura.

- dalla stessa ricetta, più o meno, parte l'autrice per realizzare dei petit pots au chocolate, ovvero aggiungendo cioccolato fondente alla base di crema inglese classica. Seppur sia una grande amante del bianco credo che cadrò nuovamente in tentazione, per solo e puro amore per la scienza :)

- non vengono date indicazione sulla temperatura di servizio, ma provato sia freddo di frigo che a temperatura ambiente è sicuramente meglio nella seconda opzione. Ah, dover sperimentare :D

- l'abbiamo ADORATO. Un dessert elegante, un fine pasto raffinato. Una consistenza vellutata  ed un sapore ben definito. Qualcuno, nonostante la ricchezza, ne ha gradito una seconda porzione! Non dimenticate il sale, non per forza nero, ma ci sta divinamente. Si capisce che sia

PROMOSSO CON LODE





martedì 12 marzo 2019

CUSTARD: BAKED YOGURT CUSTARD TART


Niente foto in questo libro, niente ricette passo-passo scritte come un lungo elenco di azioni richieste e prestabilite.
Tante, moltissime parole che invece spiegano ed illustrano quel filo unico che lega una preparazione all'altra rendendo questo gioco di incastri quasi una specie di cubo di Rubik: giro due caselle, che cosa ottengo all'altra parte?
Diviso in capitoli per argomenti, quello a cui mi sono dedicata io è intitolato Custard, Crema, di cui vedrete un piccolo estratto oggi e domani.
Ed accidenti se ne avevo da imparare.
Tutto nasce, come dice l'autrice, da un patto tra uova, un liquido e calore moderato.
Dei tre elementi, l'ultimo, il calore moderato, è quello non negoziabile pena un risultato grumoso ed irrecuperabile.
Detto questo, ecco che si apre un mondo pressocchè infinito.
Perchè tutto si gioca nella ratio tra uova e liquido, che va da un minimo di due per mezzo litro di liquido ai nove tuorli usati da Marcus Wareing, lo chef protetto di Gordon Ramsey noto per essere proprietario di un ristorante stellato a Londra (forse ancor più per la sua partecipazione ad alcune edizioni di Celebrity Masterchef).
Giocando con la ratio di cui sopra possiamo avere la custard classica, cotta sul fuoco, o quella che va in forno, con o senza guscio di pasta a contenerla.
Oppure si trasforma in sequenza in cremè caramel, cremè brulèe, crema inglese, gelato, crema pasticciera, crema fritta in un continuum che sembra quasi una magia...ed aspettate, non  avete idea di quante vie differenti possano poi prendere ciascuna di queste variazioni a seconda degli aromi usati, i liquidi impiegati, la presenza o meno di zucchero, di un agente addensante, le versioni salate fatte con il brodo, in un viaggio turbinoso che porta da Pellegrino Artusi alla cucina cinese con tutto quello che c'è in mezzo.
Un rompicato bellissimo che lascia piena libertà di sperimentare a chi legge.
E perdonatevi, dice Niki Segnit, se non tutto viene bene al primo tentativo.
Avrete comunque imparato qualcosa.
Delle tante, infinite possibilità mi ha incuriosito sin dalla prima lettura una variazione della custard al forno, ovvero una crema cotta che invece del latte prevede l'uso dello yogurt, nessun guscio di pasta e gli albumi montati.
Inusuale a dir poco ;)



YOGURT BAKED CUSTARD TART

350g di yogurt greco intero
3 uova
75g di zucchero semolato
un cucchiaio di farina
un cucchiaino di pasta di vaniglia
la buccia grattugiata di un limone
la buccia grattugiata di un'arancia
una manciata di pistacchi grossolanamente tritati
frutta di stagione, per servire


Battere lo yogurt con i 3 tuorli, 50 g di zucchero (presi dal totale della ricetta), la farina, la vaniglia, e le bucce degli agrumi.
In un'altra ciotola montare i 3 albumi a neve ferma quindi unire, sempre battendo, i rimanenti 25 g di zucchero.
Unire con delicatezza la meringa al composto di yogurt cercando di non smontarlo, quindi versare il tutto in una teglia da forno che possa andare anche in tavola da 25 cm di diametro (o una equivalente rettangolare da 24 cm x 19 cm).
Mettere la teglia dentro un'altra più grande che contenga dell'acqua per cuocere il tutto a bagnomaria in forno preriscaldato a 180 gradi per 20 minuti.
A questo punto versare sulla superficie i pistacchi tritati e rimettere in forno per altri 20 minuti, finchè la superficie sarà dorata.
Tirare fuori dal forno e togliere subito dal bagnomaria, quindi far raffreddare prima a temperatura ambiente poi in frigo.
Servire con della frutta di stagione a piacere.



NOTE

- l'autrice dice che il sapore finale somiglierà un po' a quello di un cheesecake. Vero, alla lontana, ma molto più smorzato e delicato. L'acidulo dello yogurt sparisce quasi del tutto rimanendo in lontananza senza risultare dominante. L'aroma prevalente è quello degli agrumi e della vaniglia.

- la consistenza è ciò che mi ha colpito di più. Credevo venisse un qualcosa tipo budino invece siamo più nell'ambito di una mousse. Tempi di cottura rispettati, ma è l'autrice stessa a definire i forni come esseri capricciosi che come tali vanno compresi, conosciuti e quindi domati ;)

- lo yogurt deve essere intero, le versioni scremate sono troppo acquose per poter ottenere una crema appetibile. Su questo non si può barare.

- viene suggerito di accompagnare il dolce con generica frutta di stagione, ho scelto dei frutti di bosco scaldati appena in padella con poco zucchero e succo di limone. L'acidulo della frutta sta benissimo dato che invece quello dello yogurt quasi scompare come ho accennato prima. Mi riprometto di riprovare anche con del frutto della passione o delle susine.

- com'è? Divino. Una splendida scoperta, molto versatile che va benissimo veramente dalla colazione alla merenda, al dopopasto. Un nuovo jolly da tenere presente. E nemmeno lo dico,

PROMOSSO 
CON LODE

lunedì 11 marzo 2019

LO STARBOOK DI MARZO E'....






Niki Segnit, Lateral Cooking

Niki Segnit è una food writer balzata agli onori della cronaca e della popolarità nel 2010, anno di pubblicazione di The Flavour Thesaurus,una guida ai  99 ingredienti più diffusi nelle cucine del mondo, suddivisi in 16 categorie e combinati in un totale di quasi 5000 abbinamenti diversi. A decretare il successo di pubblico e di critica di quest'opera non era stata tanto la concezione quanto la prospettiva da cui l'autrice aveva affrontato l'argomento, lontanissima da ogni pesantezza accademica e vicina invece a modelli non dichiarati quanto presenti, dalla personificazione degli ingredienti tipica di Nigel Slater fino agli ammiccamenti di Nigella Lawson. 
A dispetto della fama ricevuta con The Flavour Thesaurus, lungi dal dormire sugli allori, la Segnit ha ripreso a studiare per il progetto successivo: otto anni ha impiegato prima di dare alle stampe questo Lateral Cooking che, da subito, si annuncia come molto più che il semplice seguito dell'opera precedente. O meglio: lo è, ma in un modo molto più indipendente ed ambizioso di quanto la struttura rigorosa del primo possa lasciare immaginare. 
L'obiettivo della Segnit è infatti quelllo di insegnare ad essere autonomi in cucina: autonomi anche dai libri, per dirla in breve, visto che lo scopo dichiarato di Lateral Cooking, ribadito anche dalla prefazione di Yotam Ottolenghi,  è proprio quello di penetrare a tal punto i segreti delle ricette base da portarseli dietro nella memoria tattile, olfattiva e visiva, quelle che non ti tradiscono e ti spingono a correggere in corsa una ricetta, anche se "l'ho sempre fatta cosi" o, peggio, "il libro dice cosi". Se The Flavour Thesaurus aveva scodellato la pappa pronta, con una varietà di abbinamenti e di suggerimenti da far girare la testa, The Lateral Cooking sembra lasciare spazio a più libertà personali. Lo fa nell'unico modo possibile, ossia approfondendo all'infinito la teoria e suggerendo alcune varianti pratiche, argomento per argomento, capitolo per capitolo, secondo uno schema -ricetta base, spiegazioni, variazioni- che ci ha intrigato ed affascinato a tal punto da sovvertire per la seconda volta i nostri ritmi di pubblicazione: non più una ricetta, un autore, ma una tematica sviscerata da un membro della squadra che prenderà il timone per due o tre puntate consecutive. 
E' anche per questo che la recensione di oggi si ferma qui: perchè lascio ai membri della squadra  l'onore e l'onere di svelarvi piano piano tutta la profondità di questo libro, nei loro singoli post, con l'attenzione e la competenza di sempre. Sarà il Tiriamo le Somme a decretare se e quanto le aspettative sono state soddisfatte, come sempre anche con il vostro prezioso contributo, con i vostri commenti e le vostre riflessioni che ci auguriamo inizino già da domani, con la prima puntata di questa nuova avventura. 
Alessandra