Come si è diceva una settimana fa, presentando
Le Ricette Regionali Italiane di Fernanda Gosetti della Salda, è praticamente impossibile non imbattersi in qualche ricetta che non corrisponda a quella di casa propria. Il "mantra" con cui di solito si affronta il tema della cucina regionale, infatti, è "cucina che vai, ricetta che trovi" e mai luogo comune ebbeun fondamento tanto veritiero come quello appena citato.
La sottoscritta non fa eccezione: e così, dopo aver eseguito pedissequamente un piatto a me sconosciuto come la
Coda alla Vaccinara, con piena soddisfazione sia mia, che l'ho cucinata, sia di mio marito, che l'ha mangiata, ho ceduto alla tentazione di sfidare sul campo l'autrice- e di farlo con il mostro sacro della gastronomia genovese, vale a dire la focaccia.
Che, come ho ripetuto ad nauseam in questi anni, è un unicum nel variegato panorama delle focacce italiane: la sua caratteristica principale è infatti quella di essere croccante sopra e morbida sotto, dorata in superficie e pallida sul fondo e ricoperta da una serie di "fossette" abbastanza regolari, nelle quali si annidano i sae grosso e l'olio, rigorosamente extravergine, con cui noi Genovesi infrangiamo la regola che ci vuole parchi e parsimoniosi, irrorando a profusione la teglia e l'impasto, prima di metterlo in forno.
Il segreto, quindi, è tutto lì, nella lavorazione finale: tant'è che una ricetta codificata di focaccia neppure esiste, a conferma di come il trucco non stia nelle dosi del'impasto quanto nella scelta degli ingredienti e nelle fasi che precedono la cottura. Saltate queste- e avrete una focaccia qualunque. Seguitele con attenzione- e potrete gustarvi una perfetta focaccia genovese, anche se vi trovate a migliaia di km dalla mia città.
FOCACCIA ALL'OLIO
ingredienti
pasta da pane lievitata
olio d'oliva
sale
Acquistare nel quantitativo desiderato della pasta da pane già lievitata. Stenderla in modo uniforme in una tortiera precedentemente unta di olio e spolverizzata di sale; spolverizzate di sale anche la pasta, pizzicatela in superficie ed ungerla con abbondante olio. Mettere la tortiera in forno caldo a 200° e lasciar cuocere la "focaccia" fino a quando sarà colorita. Si può servire calda o tiepida.
Varianti: in alcune parti della Liguria vengono aggiunti dei semi di finocchio o, come a Sanremo, della cipolla affettata molto finemente"
Così parlò la Gosetti e, se avete letto la premessa, potete facimente immaginare la mia delusione.
Che però non riguarda la serietà dell'autrice, anzi: la ricetta che lei riporta è pressoché identica a quella trascritta da Giovanni Battista Ratto, ne La Cuciniera Genovese, edita nel 1863: "Ungete d'olio il fondo di una tegghia, poscia spolverizzatelo di sale; prendete quindi unpane di pasta lievitata e schiacciateo addosso, tanto che venga a coprire tutta quanta la tegghia, pizzicatene la superficie, che poscia aspergerete di olio e di sale, indi fatela cuocere in forno, oppure in casa a forno di campagna"
Lo stesso procedimento si trova anche nell'altra Cuciniera, quella scritta dal livornese Emanuele Rossi, di poco successiva alla prima, in cui si legge: "Prendete tanta pasta lievitata da far pane, quanta ve ne abbisogna; distendetela uniformemente in una teglia (il fondo della quale avrete prima unto con olio e poi cosparso di sale) pizzicatene la superficie colle dita, spargetevi sopra altro sale ed olio e fatela cuocere al forno"
Quindi, dal punto di vista della serietà, nessuna pecca, anzi: la Gosetti consulta i testi antichi, forti di una autorevolezza fuori discussione come sono appunto le Cuciniere e, per così dire, si fida.
Quello con cui non fa i conti l'autrice è che la focaccia descritta da queste fonti non è l'attuale focaccia che ci dà i buongiorno al mattino, pucciata nel caffelatte, e ci accompagna fino all'aperitivo o alla cena, nel cestino del pane: prova ne è, fra le altre, l'assenza dei "buchi" (noi li chiamiamo "ombrisalli", ombelichi"), sostituiti da non ben precisati "pizzicotti", oltre alla generica indicazione dell"olio d'oliva" al posto dell'insostituibile extravergine. E l'insistenza non è pedanteria: se mai c'è un ingrediente che fa la differenza, in questa preparazione, è proprio questo. Se non ci credete, verificate sul campo: ve ne accorgerete al primo morso.
Tornando alla Gosetti, allora, com'è che prende una cantonata del genere?
La risposta è molto più semplice di quanto possa sembrare: la Gosetti prende una bella cantonata perchè suppone che la focaccia genovese sia, al pari delle altre ricette raccolte, una preparazione antica.
Cosa che invece non è.
O meglio: non lo è, nelle forme caratteristiche in cui la conosciamo oggi che si diffusero solo nel secolo scorso e che subirono modifiche fino a qualche decennio fa (la cottura in salamoia, per esempio, è un prodotto della fine degli anni Settanta-primi anni Ottanta): prima di allora, il termine "focaccia" era generico e riguardava un po' tutte le preparazioni che vengono etichettate con questo nome, comprese anche quelle dolci. E al tempo delle Cuciniere, era ancora così.
Passando alla prova pratica, ho barato spudoratamente
1. la "pasta da pane lievitata" è stata preparata con 500 g di farina, 250-280 ml d'acqua, 10 g di lievito e un bel po' di sale fino ed è stata fatta lievitare per 4 ore, la prima volta, in due recipienti separati;
2. poi ho preso due teglie rettangolari, le ho unte di olio extravergine (quello del frantoio) come se non ci fosse un domani e ho versato i due impasti, uno in una tegia, uno in un'altra, senza sgonfiarli sulla spianatoia.
3. armandomi di santa pazienza, con le dita, ho allargato la pasta sulla teglia, aspettando qualche minuto fra un allargamento e l'altro.
|
(QUI, HO PROVATO A DARE I PIZZICOTTI...) |
4. Poi ho spolverato la superficie con sale grosso da cucina e ho premuto con i polpastrelli di entrambe le mani , delicatamente, su tutto l'impasto: non si deve bucare, ma solo avvallare, leggermente. Ho poi irrorato con olio e acqua, in parti uguali (circa 70 ml in tutto, per ogni teglia)
5. ho fatto lievitare nel forno spento per un'altra ora- ma ce ne sarebbero volute due, è che ho iniziato tardi.
6. ho tirato via le teglie e ho acceso il forno a 230° C, modalità statica
6. ho infornato per una ventina di minuti. Negli ultimi 5 minuti, ho spennellato la superficie con ulteriore olio, per altre tre volte.
Alla fine, eccola qua, bella bassa come piace a noi...
Questo è, dunque, il procedimento per la "vera" focaccia alla genovese, così come la intendiamo oggi: e se mai ci fu "errore" nel libro, è stato quello di un'eccessiva fiducia nelle fonti. Come dire, che se invece di rinchiudersi in una biblioteca, la Fernanda fosse scesa a prendersi un po' di aria di mare, magari condividendo con noi il rituale della focaccia calda, pucciata nel cappuccino, avrebbe capito che, qualche volta, l'esperienza vale più dei sacri testi...