C'era una volta un re, che si chiamava Psammetico. Governava sul popolo degli Egizi, ritenuti all'epoca il piu' antico del mondo. Ma, proprio durante il suo regno, questo primato venne insediato dai vicini Frigi, che presero a vantare questa pretesa. Psammetico, allora, dopo molte e vane ricerche, "escogitò il seguente espediente: prese due neonati, figli di persone qualsiasi, e li affidò a un pastore perché li allevasse presso le sue greggi; al pastore diede le seguenti istruzioni: che nessuno pronunciasse una sola parola davanti a quei bambini; essi dovevano starsene da soli in una capanna abbandonata; a ore stabilite il pastore doveva condurre da loro delle capre, sfamarli col latte e sbrigare le altre incombenze. Psammetico faceva e ordinava tutto questo con l'intenzione di ascoltare poi quale parola i bambini avrebbero pronunciata per prima quando avessero smesso di emettere vagiti senza senso. Come appunto accadde: ormai da due anni il pastore si comportava in quel modo, quando un bel giorno, mentre apriva la porta per entrare, i bambini gli andarono incontro tendendo le braccia e gridando "bekos". La prima volta il pastore li udì e non lo disse a nessuno; ma dato che si recava spesso dai bambini per provvedere alle loro necessità ed essi varie volte gli ripeterono quella parola, segnalò la cosa al suo padrone, che gli ordinò di portare i bambini al suo cospetto. Quando ebbe ascoltato personalmente i bambini, Psammetico cercò di sapere quali uomini chiamassero qualcosa "bekos" e ricercando scoprì che i Frigi chiamano così il pane. Pertanto, sulla base di questo esperimento gli Egiziani riconobbero che i Frigi erano più antichi di loro"
Erodoto, l'autore di questa storia, la colloca all'inizio della sua opera monumentale, facendo coincidere l'origine della civilta' non con le nozze, i tribunali e l'are, ma con qualcosa di molto piu' semplice come il pane. La parola piu' antica, cioe' e' quella riferita all'alimento non piu' antico ma piu' simbolico, i cui significati, variegatissimi ma tutti positivi, arrivano a coinvolgere valori assoluti, da quello laico della solidarieta' umana a quello religioso della vita destinata a non morire, come il chicco di grano.
Tutti questi valori non possono non venire in mente sfogliando Breaking Breads, il primo libro di Uri Scheft, famoso fornaio di Tel Aviv, la cui Lehamin Bakery e' diventata da qualche anno un marchio apprezzatissimo anche a New York, con ripercussioni abbastanza ovvie sul fronte della fama dei suoi prodotti: quando si parla di popolo ebraico, infatti, i richiami suggeriti dal pane non si fermano solo alla simbologia del prodotto e degli ingredienti, ma coinvolgono di necessita' tecniche, forme ed intrecci, innescando un percorso di suggestioni a ritroso che, dalle pagine di questo libro, ripercorrono il corso dei secoli, seguendo le tappe di una tradizione fatta di gesti che si tramandano da generazioni, legati in maniera piu' che intrinseca, quasi ontologica, al messaggio della loro fede.
L'operazione di Scheft ricorda, molto da vicino, quella fatta a suo tempo da Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi in Jerusalem: un incontro di antico e nuovo, in nome di quella multiculturalita' che da millenni ormai costituisce l'altra grande ricchezza dell'Ebraismo, capace come pochi popoli al mondo di catturare e fare proprie sollecitazioni esterne, rielaborandole in maniera peculiare e facendone strumenti di comunicazione efficace e di dialogo.
Ed ecco cosi che i pani piu' tradizionali si fondono con gli ingredienti piu' contemporanei, che gesti antichi si aprono a sapori nuovi, rinnovando anche nel cibo quel melting pot di culture che ha da sempre reso Israele un crocevia del mondo: ed ecco allora che i pani del sabato, i bagesl di Gerusalemme, le babka, i kubaneh e le altre decine di pani della tradizione ebraica assumono sapori e profumi diversi, sulla base dei nuovi "incontri", che si tratti di cibi altrettanto antichi, di culture diverse o di prodotti dell'industria moderna.
Quanto le Starbookers siano sensibili a certi contenuti e a certi approcci e' cosa nota. Quello che magari e' meno noto e' il nostro giudizio sull'ultimo libro di cui, lo confessiamo, ci siamo innamorate a prima vista, dopo averlo sfogliato. Ma la prova finale ci aspetta nelle nostre cucine, fra bilance, forni e leggii: sara' vero amore o una semplice infatuazione?
Lo scopriremo solo impastando, noi e le redoner di questo mese!
A domani, con la prima ricetta!
Alessandra
Tutti questi valori non possono non venire in mente sfogliando Breaking Breads, il primo libro di Uri Scheft, famoso fornaio di Tel Aviv, la cui Lehamin Bakery e' diventata da qualche anno un marchio apprezzatissimo anche a New York, con ripercussioni abbastanza ovvie sul fronte della fama dei suoi prodotti: quando si parla di popolo ebraico, infatti, i richiami suggeriti dal pane non si fermano solo alla simbologia del prodotto e degli ingredienti, ma coinvolgono di necessita' tecniche, forme ed intrecci, innescando un percorso di suggestioni a ritroso che, dalle pagine di questo libro, ripercorrono il corso dei secoli, seguendo le tappe di una tradizione fatta di gesti che si tramandano da generazioni, legati in maniera piu' che intrinseca, quasi ontologica, al messaggio della loro fede.
L'operazione di Scheft ricorda, molto da vicino, quella fatta a suo tempo da Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi in Jerusalem: un incontro di antico e nuovo, in nome di quella multiculturalita' che da millenni ormai costituisce l'altra grande ricchezza dell'Ebraismo, capace come pochi popoli al mondo di catturare e fare proprie sollecitazioni esterne, rielaborandole in maniera peculiare e facendone strumenti di comunicazione efficace e di dialogo.
Ed ecco cosi che i pani piu' tradizionali si fondono con gli ingredienti piu' contemporanei, che gesti antichi si aprono a sapori nuovi, rinnovando anche nel cibo quel melting pot di culture che ha da sempre reso Israele un crocevia del mondo: ed ecco allora che i pani del sabato, i bagesl di Gerusalemme, le babka, i kubaneh e le altre decine di pani della tradizione ebraica assumono sapori e profumi diversi, sulla base dei nuovi "incontri", che si tratti di cibi altrettanto antichi, di culture diverse o di prodotti dell'industria moderna.
Quanto le Starbookers siano sensibili a certi contenuti e a certi approcci e' cosa nota. Quello che magari e' meno noto e' il nostro giudizio sull'ultimo libro di cui, lo confessiamo, ci siamo innamorate a prima vista, dopo averlo sfogliato. Ma la prova finale ci aspetta nelle nostre cucine, fra bilance, forni e leggii: sara' vero amore o una semplice infatuazione?
Lo scopriremo solo impastando, noi e le redoner di questo mese!
A domani, con la prima ricetta!
Alessandra
Un libro che conquista solo sfogliandolo, se saranno rose lo scopriremo.
RispondiEliminaAvrò l'onore di esserci e poter dare il mio giudizio.
Grazie
Mi ha messo alla prova, vedremo su queste pagine come sia andata.
RispondiEliminaGrazie, Alessandra!
Sembra essere un libro meraviglioso! Vi seguirò da vicino questo mese :)
RispondiEliminaAnche io vi seguirò con grandissimo interesse.
RispondiEliminaE allora mani in pasta... Hip hip Hurrà!!!! Finora ho dedicato poco tempo al pane fatto in casa ma dalle foto che vedo, ho già un'idea che sarà difficile resistere dal farlo. A domani panificatrici e buon lavoro <3
RispondiEliminaMa che figata...
RispondiEliminaMa che figata...
Ma che....
Ma cosa vi abbiamo fatto di male?
RispondiEliminaNon per niente, nell'introduzione Scheft cita proprio Ottolenghi e Samimi (tutti e due, non solo il primo!) parlando dell'operazione culturale che si è prefissato di fare con questo libro.
RispondiEliminaAdesso non ci resta che metterci ai fornelli.
Intanto però Ale, ti dico che il tuo post è pura poesia!!! ;-)
bella questa introduzione, che descrive esattamente il mio sentire iniziale su questo libro. vedremo come va a finire...
RispondiEliminami sa che questo Starbook profuma di buono....non vi perderò di vista!
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