martedì 30 aprile 2019

THE MODERN COOK'S YEAR - TIRIAMO LE SOMME?


Una manciata di anni fa, quando ancora imperava la polemica fra giornalisti e foodblogger, ero stata invitata a partecipare ad un evento loro riservato, ufficialmente per fare un passo avanti sulla strada della comprensione, ufficiosamente per partecipare a una gara al massacro, con la sottoscritta al posto del bersaglio. 
Fra le cose che mi avevano contestato c'era stata quella dei modelli di scrittura. 
Avevo sostenuto, infatti (e lo sostengo ancora) che la scrittura dei food blogger italiani aveva una matrice chiaramente anglosassone. Anthony Bourdain, Ruth Reichl, Nigella Lawson, Nigel Slater erano i nomi più ricorrenti, , Jonathan Gold, Craig Claiborne, Michael Pollon e molti altri quelli per i più maniaci o per gli addetti ai lavori. 
Che poi i food blogger italiani in larga maggioranza non sapessero scrivere di cibo e, in larghissima maggioranza, non sapessero nemmeno scrivere questa era un'altra faccenda che,ai tempi,  discutevo con passione dalle pagine del mio blog. Tant'è che, all'epoca, mentre difendevo a spada tratta la categoria, brividi di paura mi scendevano lungo la schiena, al pensiero che sarebbe bastato aprire un blog a caso e leggere il primo paragrafo, se non la prima frase, se non addirittura il titolo per smontare le mie teorie, senza lasciarmi neppure l'onore della resa. 
La strategia, però, era quella di andare dritti al cuore del problema, vedere la reazione e poi, da lì, capire come andare avanti. 
Col senno di poi, avrei dovuto studiare meglio i testi sacri, dall'Arte della Guerra ai diari di Rommel: non solo ero andata a parlare di corda in casa dell'impiccato, ma avevo anche sostenuto impavidamente che bisognava impiccarsi con le corde della concorrenza- per giunta su un tema come il cibo. 
Come dire, pazienza se avessi citato i Francesi. 
Ma Britannici e Statunitensi, quella era un'offesa cosmica. 
La reazione, ahimè, fu un rosario di nomi italiani. 
E Veronelli, e Carnacina, e Soldati e Bonaccorsi e via dicendo 
(via dicendo non è il nome di un giornalista gastronomico italiano). 
Li abbiamo avuti anche noi- sostenvano- è che voi (foodblogger) non li conoscete. 
Il che è verissimo, se non fosse per un piccolo dettaglio. 
E cioè, per esempio, che la sottoscritta ha dovuto penare anni per recuperare sulle bancarelle dell'usato i suddetti ed altri autori e, in qualche caso, mi son dovuta arrendere (Gianni Brera, per esempio): i loro volumi, sgualciti, macchiati e con un puzzo di cantina umida che offende le narici ogni volta che li apro sono stati per anni accanto alle nuove edizioni dei libri degli autori stranieri appena citati, lucide, nuove, profumate,  oltre agli annuari dei migliori articoli di cibo, pubblicati regolarmente negli USA. 
Perchè, vedete, se si vuol conservare la memoria di qualcosa l'unico modo  è mantenerne vivo il ricordo. E su  questo, purtroppo, noi Italiani ancora abbiamo da imparare. 
Quando mi sono laureata, più di 30 ani fa, scegliendo il cibo come argomento della mia tesi di laurea, ero una mosca bianca e una delle tante lamentele nella mia carriera da insegnante riguardava proprio il vuoto assoluto legato a questo argomento negli studi di Storia prima e di Italiano poi. Possibile?, mi chiedevo da studente prima e da insegnate poi- Possibile che su un argomento su cui dovremmo aver speso fiumi di inchiostro, rivendicando paternità legittime e ruoli di assoluto dominio, non si sia scritta una riga? Possibile che la nostra cultura in materia di cibo sia affidata ancora alle mani delle mamme e delle nonne e manchino studi che diano un fondamento alle ricette, che ne spieghino la storia e lo spessore? Possibile che non ci siano tracce di una cultura ultramillenaria, che ci appartiene in modo cosi esclusivo da aver plasmato il nostro stile di vita?
Possibile si, anzi, dolorosamente vero. 
Tanto che se i libri di cucina italiani di questi ultimi anni- e qui arrivo al punto- sono cosi deboli e cosi impersonali, il motivo è proprio questo. 
Che chi di dovere (programmi scolastici, giornalisti, editoria) non ha saputo coltivare la nostra memoria in merito di cibo. 
Lo hanno fatto e continuano a farlo gli Anglosassoni, con il risultato che la loro scuola sforna talenti, ogni anno. Nessuno di loro è un prodotto totalmente nuovo, ma tutti hanno le spalle sufficientemente coperte da poter osare qualcosa di nuovo. Sono questi gli eredi di Nigella, di Ottolenghi, di Jamie Oliver- e Anna Jones è di sicuro la più brillante di tutti. 
Eravamo scettici, all'inizio, un po' infastiditi da quel "modern" così ostentato nelle copertine dei suoi libri, quasi che suonasse come una sbruffonata giovanile, quelle che abbiamo perdonato ad un irresistibile Jamie e a lui solo. 
In realtà, ci siamo dovute ricredere e proprio nell'ottica di questa eredità che le permette di imporre la sua personalità, in un patrimonio genetico ben riconoscibile. Pensate a un figlio, che porta in sè i tratti dei genitori ma riesce comunque a sviluppare una personalità propria ed avrete il ritratto di Anna Jones e dei suoi libri: una ventata di giovinezza, una nuova primavera, un rigoglioso fiorire di teneri boccioli su un albero che trae la sua forza dalle radici, ben piantate nel terreno, una voce nuova, nella quale risuonano echi antichi, di voci amiche. 
Consigliatissimo, insomma.

6 commenti:

  1. Dire che concordo, è troppo facile,ma è così. Anna Jones era finora un appunto a matita preso anni fa e dimenticato ahimè, nel tram tram delle mie caotiche giornate. Ora dovrò riparare alla mia superficialità in materia, però credo che dovrebbero farlo almeno un milione di persone insieme a me ;-)

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  2. Perdo ormai le speranze che fenomeni simili possano apparire in Italia. Che gran peccato...

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  3. Io ogni volta che leggo queste riflessioni mi domando se noi Italiani siamo masochisti o superficialmente menefreghisti. Perché se da un lato è vero, come scrivi tu, che "se si vuol conservare la memoria di qualcosa l'unico modo è mantenerne vivo il ricordo. E su questo, purtroppo, noi Italiani ancora abbiamo da imparare. [...] Possibile che su un argomento su cui dovremmo aver speso fiumi di inchiostro, rivendicando paternità legittime e ruoli di assoluto dominio, non si sia scritta una riga? Possibile che la nostra cultura in materia di cibo sia affidata ancora alle mani delle mamme e delle nonne e manchino studi che diano un fondamento alle ricette, che ne spieghino la storia e lo spessore? Possibile che non ci siano tracce di una cultura ultramillenaria, che ci appartiene in modo cosi esclusivo da aver plasmato il nostro stile di vita?"
    I risultati si vedono, sia nella dilagante e crassa ignoranza in materia (e non solo) del popolo italiano in generale, sia in quella della stragrande maggioranza dei foodblogger italiani (e mi ci metto anch'io), che si limitano a pubblicare una ricettina senza andare a sviscerarne le origini. Al massimo si assiste a tristi guerre su cosa sia lecito chiamare parmigiana o tiella e sulla "proprietà" o paternità di una ricetta, mostrando che l'orizzonte a cui si guarda è quello del proprio ombelico.
    In questo senso il Calendario del Cibo Italiano sta svolgendo un'altissima opera culturale (e infatti non è che sia visitato un granché, da me in primis), che ci aiuta a prendere coscienza della bellezza e della profondità della nostra cultura culinaria.
    Chissà se lo studio di Autori stranieri porterà qualcuno delle prossime generazioni a fare operazioni culturali analoghe anche da noi...
    Grazie Ale.

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  4. Bene! Aspettavo questo post, come aspetto di vedere il prossimo libro scelto!!
    Tornando al "tiriamo le somme" trovo sempre interessante il giudizio del libro, perchè al di là delle singole ricette, il libro trasmette anche una visione di cucina, una coerenza o uno strappo con la tradizione.... insomma c'è altro!
    Sono un pò sconsolata, perchè speravo di "depennare" Anna Jones (è vegetariana!) dagli autori da approfondire, invece le ricette sin qui da voi provate e il giudizio positivo finale mi fanno mettere questa autrice nella mia wish list (insieme a Ottolenghi, Diana Henry ecc.) aspettando tempi migliori in cui questi libri siano un pò meno cari, anche in formato e-book!
    Questo articolo ha sottolineato ancora una volta la carenza di Chef/Cuochi/Scrittori culinari nella nostra Italia, che dovrebbe essere la patria del mangiar bene, della cucina mediterranea. Io personalmente negli anni ho collezionato i volumi della Cucina Regionale Italiana (chi non li ha?) ho una copia de Il Cucchiaio D'Argento, ed altre pubblicazioni che sono raccolte di ricette tradizionali. Il mio sforzo di entrare nella tradizione è stato parzialmente soddisfatto però. Adesso scopro l'esistenza del "Calendario del Cibo italiano", che presumo sia una creatura sorella allo Starbooks, e ne sono contenta perchè spero così di allargare le mie conoscenze! Grazie Mapi per averlo menzionato!!!
    Adesso però ho una domanda, da neofita del campo quale sono: ma di Montersino, Oldani, Massari che oggi sono abbastanza noti, che ne pensate? Rientrano tra le "poche eccezioni" che Alessandra Gennaro (la Guerriera!) menzionava nei commenti del tiriamo le somme su Lateral Cooking?
    Certo non mi hanno fatto innamorare come Nigel Slater di The kitchen Diaries III che sto leggendo (accidenti a voi, un altro acquisto!) ma forse qualcosa lo dicono.
    Vi ringrazio per la pazienza e l'attenzione.

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  5. rispondo velocemente ad AntoN, poi torno con più calma. gli autori che hai menzionato hanno molto seguito, ma i loro libri non sono sempre all'altezza della loro fama. sono manuali, propriamente, non libri che raccontano una storia. oldani forse fa eccezione ,ma Monyersino e Massari hanno scritto libri di ricette, punto. non una riga di presentazione, intendo dire. quindi vanno bene per fare delle torte (perdona la semplificazione), non per fondare una memoria come quella che intendevo nel Turismo le Somme

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  6. Grazie Alessandra!
    Hai ragione su Montersino e Massari (ma almeno le loro ricette sono affidabili!). Già queste poche frasi mi hanno illuminato, ma aspetto che tu mi dica di più, perché mi interessa troppo! Intanto ti auguro Buon 1° maggio!
    Antonella.

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