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domenica 23 marzo 2014

1228 - TORTA GARFAGNINA - GOSETTI DELLA SALDA

torta garfagnina della Gosetti (4)

Un'altra spettacolare semplicità di Anna Gosetti ha riempito la mia casa di un profumo intenso ed avvolgente: dopo il primo piatto gustoso di febbraio, eccoci ad un dolce delizioso.  Ho scelto, questa volta, in base alla regionalità. Questa torta Garfagnina, infatti, nasce in Toscana nella sua parte più settentrionale (proprio a ridosso della Liguria), terra a cui sono molto legata e che amo infinitamente, terra che custodisce molti tra i miei ricordi più cari.

Vi trascrivo la presentazione dell'autrice:
La "torta garfagnina" è una antica e tipica specialità popolare toscana. Nel paese di Castelnuovo, che si trova appunto nella Garfagnana, per secolari tradizioni si suole servire questo ottimo dolce a conclusione del grande pranzo che viene fatto ogni anno per festeggiare il giorno di San Pietro, l'amato protettore del paese.

Considerato che San Pietro si festeggia il 29 giugno, direi che siamo leggermente in anticipo sui tempi, ma, dal momento che nessun ingrediente è legato alla stagionalità, possiamo tranquillamente mangiarne una bella fetta in qualunque stagione, senza nessun problema.  La sua semplicità mi ha conquistata, come pure il suo essere soffice e leggera. Non avevo mai adoperato il cremor tartaro e temevo di commettere qualche pasticcio. Invece la descrizione è chiara ed il procedimento non presenta alcuna difficoltà. 

Voglio premettere, nel caso non lo aveste mai utilizzato, che questo specifico ingrediente lievitante si può trovare, se non avete grandi supermercati forniti vicino casa, anche in farmacia: io devo ringraziare Mapi che me ne ha suggerito tempo fa l'acquisto...

Torta Garfagnina

torta garfagnina della Gosetti (24)

Ingredienti
500 g farina 00
200 g di zucchero
50 g di mandorle (con l'aggiunta di un paio amare, che io non ho utilizzato)
175 g di burro
3 uova
150 g di latte
40 g di un liquore ben profumato (Grand Marnier per me)
15 g cremor tartaro e 8 g di bicarbonato di sodio (o lievito in polvere)
la buccia di mezzo limone

Pelare tutte le mandorle dolci e amare, dopo averle immerse per qualche minuto in acqua bollente, poi tritarle finissime. Imburrare una larga tortiera ed infarinarla. Fare sciogliere il restante burro (non dovrà friggere) e poi lasciarlo raffreddare. Versare in una capace ciotola la farina bianca, lo zucchero, le mandorle, un cucchiaino di semi di anice e la scorza grattugiata di limone: mescolare insieme gli ingredienti, fare la fontana e rompervi in mezzo le uova intere, il burro sciolto ed il liquore. Impastare insieme gli ingredienti, amalgamandoli bene. Intiepidire il latte e sciogliere in esso il cremor tartaro ed il bicarbonato: mentre avviene l'effervescenza, unire tutto alla pasta, amalgamare perfettamente, versare la pasta nella tortiera già preparata e porla in forno caldo a 160° , lasciandola cuocere per un ora. Servirla tiepida o fredda.

torta garfagnina della Gosetti (1)

Quindi, ora, tutti all'opera, per preparare una torta profumata e gustosa, ottima merenda per i piccoli, eccellente per il tè degli adulti: potete servirla sola o accompagnata con della marmellata se vi fa piacere, o con ciò che vi suggerisce la fantasia. Per il fine pasto è perfetta, naturalmente senza accompagnamento, solo, io l'ho spolverizzata con lo zucchero a velo, ma giusto per rifinirla. Anche la presenza del liquore non crea problemi;  nella torta si avverte solo l'aroma che lo caratterizza e non il "fastidioso" (per i bimbi e non solo) sapore di "alcool" che caratterizza i dolci in cui è utilizzato.

Un piccolo suggerimento che mi porto dietro da sempre e che mi viene da un'altra grande della cucina, Ada Boni: quando dovete tritare le mandorle in ricette con lo zucchero, metteteli nel mixer insieme, così lo zucchero assorbirà gli olii delle mandorle o dell'eventuale altra frutta secca.

Nella ricetta originale, mentre vengono enumerati gli ingredienti, si parla di sostituzione con il lievito in polvere: sembra che si riferisca al bicarbonato, ma forse è una formula un po' ambigua. Io penso che in realtà siano da sostituire, eventualmente, sia il cremor tartaro che il bicarbonato, con il lievito chimico, perché entrambi sono i componenti principali di quello che si trova nelle bustine.

Ah, un piccolo particolare: la Gosetti parla di teglia ampia, senza specificare. Io ho utilizzato la solita da 23 cm e il risultato mi sembra mi abbia dato ragione. Comunque penso l'impasto possa reggere fino ai 24/25 cm agevolmente, se la volete un po' meno alta.
Insomma vale più un assaggio di mille parole ...

Buona giornata a tutti

sabato 22 marzo 2014

328 - SPEZZATINO CON ZUCCHINE E PATATE - GOSETTI DELLA SALDA



Confesso, ho scelto questa ricetta parecchio tempo fa, quando ci fu l'MTC dello spezzatino della Calugi Sisters.
Mi sarebbe piaciuto pubblicare uno spezzatino per lo Starbooks lo stesso mese della sfida. Poi i tempi della vita hanno avuto il sopravvento, e l'ho fatta molto dopo.
È uno spezzatino classico, con patate, dove le patate, oltre a dare il contributo glucidico al piatto, che per la presenza delle zucchine diventa quindi un piatto completo, dal punto di vista nutrizionale, danno il senso di un piatto povero, andando a sostituire in parte la carne. Infatti per 6 persone ci sono solo 750 g di vitella.
Come spezzatino a me è piaciuto ma non troppo. Non trovo azzeccatissima la presenza delle zucchine, che non amo molto in accoppiata con il pomodoro.
Però la ricetta in sé funziona, quindi niente da dire.


328 - SPEZZATINO CON ZUCCHINE E PATATE
(specialità ponentina)
Anna Gosetti della Salda, Le ricette regionali italiane,  Casa Editrice Solaris - p. 812

Ingredienti: 
(dose per 6 persone)
750 g di carne di vitello (da spezzatino)
500 g di patate
400 g di pomodori freschi da sugo
300 g di trombette (zucchine)
150 g di olio d'oliva
aglio – due coste di sedano – una carota – una cipolla
un bicchiere di vino bianco secco – poco brodo – sale e pepe

Porre in una casseruola di terracotta l'olio, qualche spicchio d'aglio, il sedano tritato, la carota a fettine e la cipolla finemente tranciata. Fare soffriggere, poi unire la carne tagliata a pezzetti; aumentare il fuoco e appena la carne sarà rosolata bagnarla con il vino. Lasciarlo evaporare, indi aggiungere le patate pelate, lavate e tagliate a tocchetti ed un poco di brodo.
In seguito unire i pomodori pelati e grossolanamente tritati, e le zucchine affettate in dischi di circa mezzo centimetro. Salare e pepare leggermente.
Proseguire la cottura a fiamma bassa, bagnando ogni tanto la preparazione con poco brodo caldo. È un'ottima portata dell'estate, che sfrutta le verdure di stagione.

MIE NOTE.
  • Io ho dovuto usare i pelati al posto dei pomodori da sugo avendo fatto questo piatto a febbraio. Sicuramente usare i pomodori da sugo l'avrebbe reso più buono, ci riproverò quest'estate.
  • La presenza delle zucchine mi ha lasciata, alla prova finale, un po' perplessa. Forse avrei dovuto aggiungerle un po' dopo, ma le mie si sono ammorbidite troppo. Non avevo le trombette, ma ho usato delle fiorentine chiare con fiore, che sono delle ottime zucchine aconsistenti e poco acquose. Anche in questo caso, fare questo piatto d'estate avrebbe sicuramente aiutato
  • Bene per la scelta del vitello, sia per la delicatezza dei sapori (zucchine) sia perché essendo di più breve cottura rispetto al manzo si adatta bene a questo piatto che è sì di lenta cottura, ma non delle più lunghe.

venerdì 21 marzo 2014

2140 - CAEFUS - GOSETTI DELLA SALDA



Anche per l'ultimo mese con il Classico che ci accompagna da Gennaio, e dopo i Malloreddus, ho scelto un'altra ricetta della Sardegna, stavolta dolce! 
Scavando nella memoria della mia infanzia e adolescenza, ho un ricordo molto vago di queste cioccolatine e delle codette colorate che compaiono spesso nei dolci sardi. Peccato che all'epoca la cucina non fosse un argomento di mio interesse...! Però ho recuperato negli anni :)

in corsivo le mie note

2140 - Caefus (cioccolatine sarde)
Anna Gosetti della Salda, Le Ricette Regionali Italiane

Ingredienti 

zucchero semolato 500 g
mandorle 500 g
cioccolato grattugiato (di copertura) 250 g (io ne ho usato uno fondente al 52%)
zucchero semolato o confettini - traggera (per me, codette colorate)

Scottare le mandorle in acqua bollente, pelarle, farle asciugare bene in forno a bassissimo calore, poi pestarle finemente nel mortaio, sino a ridurle in pasta (io avevo in casa delle mandorle già pelate, che ho tritato finemente nel robot da cucina, spegnendo ogni tanto il robot, per evitare di surriscaldarle). Porre sul fuoco un recipiente con lo zucchero e poca acqua (io ne ho messa  circa 180 ml, ma secondo me ne servirebbe ancora un p. Alla fine ne ho aggiunta altra, per ottenere un composto più morbido), lasciare sciogliere lo zucchero e, appena lo sciroppo comincia a filare, unire il cioccolato e le mandorle. Quando, mettendo una cucchiaiata del composto su un piatto non scorrerà troppo facilmente togliere il recipiente dal fuoco e, appena la preparazione sarà fredda, fare con essa tante pallottoline; rotolarle nello zucchero o nella "traggera" (confettini multicolori). 
Non viene indicata la quantità di acqua da utilizzare per lo sciroppo; io ne ho unita altra, e mi sono inumidita le mani per formare le palline e per far aderire le codette colorate.


A ricetta è semplice e veloce. Secondo me non ci starebbe male dell'essenza di mandorle amare, che esalterebbe ancora di più il profumo di queste "cioccolatine". Non so quanto si possano conservare, farò una prova e aggiornerò il post con il risultato. Comunque vi consiglio di tenerle in una scatola di latta, come per i biscotti...

                                                                                                                   Ale only kitchen


mercoledì 19 marzo 2014

327- GOSETTI DELLA SALDA POLPETTONE ALLA GENOVESE



E' la mia fissazione, qui sul web, e ve ne chiedo scusa, ma trovo che il nostro polpettone, quello fatto solo partendo dalle verdure, sia talmente strepitoso che a non divulgarlo nel modo corretto mi sembra di fare un torto a chi ancora non conoscesse questa ricetta.
Di conseguenza, era invitabile che, dovendo scegliere fra oltre 2000 ricette regionali, la mia scelta cadesse senza alcun imbarazzo su questa preparazione: salvo poi dover constatare, attonita, che il "polpettone" che si trova ne Le Ricette delle Regioni d'Italia di Anna Gosetti Della Salda non ha nulla a che vedere con il nostro.
Non si tratta di un problema di varianti, quanto semmai di base: le prime, si sa, sono l'indispensabile pendent di una cucina che ha nel'oralità e non nella scrittura la sua linea di trasmissione. Per cui, la presenza degli zucchini, anziché dei più noti fagiolini o carciofi o zucca o cardi o melanzane, ci può stare, anche se nei sacri testi non c'è. Quello che proprio non si capisce è l'inspiegabile assenza delle patate che di questo piatto sono la cifra connotativa e l'asse portante, come per gran parte delle nostre ricette.



A differenza del pomodoro, infatti, (l'altro souvenir delle Americhe che venne visto con diffidenza dalla vecchia Europa, tanto da ritardarne il consumo di quasi due secoli) e che non deve aver incontrato i gusti di noi Genovesi, vista la scarsità delle ricette storiche con questo ingrediente, le patate spopolarono letteralmente:  in Italia esse vennero portate dall'esercito napeoleonico, ai tempi della  campagna d'Italia (quella che poi finirà con il trattato di Campoformio e lo strazio di Ugo Foscolo,prima e di generazioni di studenti poi, che dietro ai calcoli politici di Napoleone si son dovuti sorbettare Jacopo Ortis e le sue lettere): al pari del pomodoro, anche la destinazione commestibile della patata, è noto, suscitò un sacco di riserve  e anche se Parmentier aveva bregato a corte, per farla accettare dalle classi alte, dai poveri venne particolarmente disdegnata: cibo da maiali o, per l'appunto, da soldati. Quando però le truppe del generale Massena passarono il confine e arrivarono in Liguria, i primi ad accorgersi della bontà di questo tubero furono proprio i Genovesi. Il problema, però, era come farlo capire alla popolazione, visto che le voci sulle pericolose controindicazioni delle patate (a farla breve, provocavano di tutto, dalla morte istantanea per avvelenamento alle flatulenze più imbarazzanti)  erano arrivate fin da noi: e qui intervenne l'Arcivescovo che, assaggiatane una e attesi invano i suoi effetti, agì con la stessa rapidità di quel fulmineo che gli stava invadendo il territorio: convocò i suoi sacerdoti e li mandò in missione, fra i poveri, per convincerli a cibarsi di questo tubero che da noi, per decenni, si chiamò "truffe" o "tartuffolo": perchè su tutto il resto, saremo parchi: ma quanto ad autoironia e amaro sarcasmo, a noi Genovesi non ci batte nessuno....




"POLPETTONE" alla GENOVESE
1,200 g di zucchine
60 g di quagliata (prescinseua)
1 cipolla piuttosto grande
olio d'oliva e burro
prezzemolo e maggiorana
4 uova 
poco pane grattugiato
una cucchiaiata di parmigiano 
sale e pepe

Pelare la cipolla e tenerla in acqua corrente per circa un'ora (non l'ho fatto: far scorrere per un'ora l'acqua del rubinetto, per togliere il gusto del "forte" ad una cipolla che, oltretutto, non va mangiata cruda, ma lessa, mi sembra francamente uno spreco, di risorse e di tempo); pulire e lavare le zucchine, tagliarle a metà per il lungo, privarle dei semi, ricavarne dei dadini e metterli in un asciughino: spolverizzarli di sale, poi appendere il sacchetto, in modo che possa colare l'acqua che emetteranno (anche qui, ho fatto diversamente: ho preso gli zucchini, li ho lavati, li ho spuntati, li ho tagliati in due e poi li ho fatti bollire per pochi minuti, quanto basta per poter togliere loro i semi: dopodiché, li ho tagliati a tocchetti. Far perdere acqua alle ucchine è inutile, perchè verranno stufate; quindi, non solo emettono acqua spontaneamente, ma l'acqua sar indispesabil perchè cuociano in umido). Tritare la cipolla e porla in un tegame, meglio se di terracotta, con olio e burro; appena prende colore, bagnatela con un cucchiaio d'acqua, poi aggiungete gli zucchini a tocchetti e fate cuocere per circa 20 minuti (solo olio, extravergine, niente burro; ho fatto appassire la cipolla unpo' di più, perchè i miei zucchini erano 'avanti' di cottura, rispetto alle indicazioni della ricetta; 20 minuti sono tanti, ma per il polpettone ci vogliono, perchè le verdure devono "sfarsi": nel mio caso, son stati venti minuti complessivi, però: 7-8 minuti per la cipolla, a fuoco basso, mescolando spesso e aggiungendo due cucchiai d'acqua e il resto per gli zucchini); togliere il tegame dal fuoco e lasciar raffreddare (se non c'è troppo liquido di cottura: altrimenti, scolate bene le verdure e mettetele da parte: il polpettone deve restare umido, ma nn bagnato)
Tritate finemente un po' di prezzemolo e un pizzico di maggiorana (viceversa: a Genova, la maggiorana si usa ancor più del basilico), unire i 60 g di quagliata (oppure una manciata di riso cotto in latte e acqua e fatto ben asciugare oppure una grossa mollica di pane raffermo, inzuppata nel latte e poi strizzata). Incorporare tutto alle zucchine, aggiungere le uova ben sbattute, la cucchiaiata di formaggio, un poco di pepe e sale. Mescolare ben bene. Prendere una teglia del diametro di circa 30 cm, ungerla d'olio, spolverizzarla di pane, versarvi il composto e livellarlo con un cucchiaino. Cospargere la superficie di pane grattugiato, irrorarla d'olio e mettervi alcuni fiocchetti di burro (io, solo olio). Porre il recipiente in forno e cuocere la preparazione a calore moderato (190°C) per circa un'ora (nel mio forno, mezz'ora)

sabato 22 febbraio 2014

1849 - SPAGHETTI AL RAGÙ DI TOTANO - GOSETTI DELLA SALDA



ragù di totani

Mi è piaciuta moltissimo, ve lo confesso, l'idea che ha preso il via a gennaio, di confrontarci, oltre che con lo starbook del mese, anche con i testi classici della cucina; in questi, le ricette sono  spesso scritte in modo molto stringato, quasi sempre senza foto che le descrivano agli occhi e con indicazioni decisamente essenziali. Anche i pesi o le quantità sono specificate solo per gli ingredienti principali: per il resto ci si deve ispirare al nostro personale buonsenso di cuoche, di persone, cioè, che quotidianamente devono preparare pranzo e cena per la famiglia o gli amici. Decisamente il compito non è semplicissimo: siamo ormai abituate a ricettari con molte illustrazioni, che facilitano la preparazione, spesso più utili delle parole, nel caso queste non siano particolarmente chiare :-) 

Bene, qui si inverte il processo: si prova, si valuta con tutti i sensi, si cerca di intuire quale sarà il sapore finale, basandoci sulle nostre esperienze, sui gusti personali e sull'olfatto, oltre che su gusto e vista.

Ho scelto questa ricetta in particolare, spaghetti al ragù di totano, perché in famiglia ho commensali appassionati del profumo del mare e dei molluschi in particolare, totani fra tutti. Anzi, spesso mi è capitato di cucinare quelli freschi ed eccellenti procuratemi da battute di pesca di marito e cognato, più divertenti per loro, in realtà, che proficue, nella maggioranza dei casi. E' una ricetta che proviene da una regione all'estremo opposto della mia, rispetto al territorio italiano: la splendida Calabria, che in comune con noi liguri ha un mare meraviglioso, che alla cucina regala sapori e profumi decisi.

Ho poi apprezzato molto l'idea di preparare, con un solo procedimento, il primo e il secondo piatto o, in alternativa, un piatto unico sostanzioso, per un pranzo ricco e saporito. Come vi dicevo le indicazioni sono un po' ridotte all'osso, ma il risultato finale premia della scelta: eccellente risultato, semplice e piacevolissimo. Vi ho aggiunto, tra parentesi, i pesi indicativi di cipolla e salsa di pomodoro che ho adoperato.

Spaghetti Al Ragù Di Totano


ragù di totani

Ingredienti per 4 persone

800 g piccoli totani 
400 g di spaghetti
100 g olio di oliva
una cipolla (175 g circa)
basilico 1 rametto di (timo per me)
2 spicchi d'aglio
salsa di pomodoro (120 g circa)
zucchero (1 cucchiaino scarso)
sale


Immagine da qui
Pulire i totani poi, usando le forbici, tagliarli ad anelli, metterli in un tegame di terracotta, salarli leggermente e mettere il recipiente sul fuoco. 
Si può alternativamente preparare il ragù con polpi e seppie: anche le seppie si tagliano ad anelli, mentre i polpi a pezzetti.

Quando l'acqua che si sarà formata sarà tutta consumata, versare sui totani l'olio, la cipolla tagliuzzata e gli spicchi d'aglio interi. Far rosolare molto bene i totani e quando si vedranno dorati e la cipolla sarà appassita, versare 1 cucchiaiata di salsa di pomodoro, tre foglie di basilico e un pizzico di zucchero. Mescolare e proseguire la cottura a fuoco lento. Quando si noterà che la salsa si divide dall'olio, unire un po' do acqua calda e proseguire la cottura sempre a fuoco basso. Lessare come al solito gli spaghetti e poi scolarli e condirli con il sugo, mescolando con cura: servire gli anelli di totano come seconda portata.

Qualche piccolo chiarimento personale: ho usato una cipolla dorata media (175 g) l'ho tritata con la vetusta mezzaluna, che in queste ricette tradizionali cade come il cacio sui maccheroni e ho utilizzato 5 o 6 cucchiaiate di salsa di pomodoro (circa 120 g), anziché 1, perché volevo un'abbondante razione di sugo.

Senza apportare praticamente alcuna correzione ho ottenuto un condimento eccellente. Confesso che, avendo utilizzato totanetti piccoli, ho preferito usare anche loro per condire gli spaghetti: proprio come un ragù, pesce e salsa insieme, per un ottimo piatto unico. 

Mi ha divertito questo procedimento direi' "a rovescio", rispetto a quello che ho sempre utilizzato: l'idea di mettere prima i totanetti e farli cuocere nella propria acqua è ottima e rende i molluschi morbidissimi e mantiene loro un ottimo sapore e profumo.

Unico appunto, come dicevo prima, una certa vaghezza sui tempi e su un paio di pesi, ma ci si può regolare ad occhio, obiettivamente. 

Buona giornata a tutti

venerdì 21 febbraio 2014

174 - CRUMIRI DEL MONFERRATO - GOSETTI DELLA SALDA

La ricetta che ho scelto dalla bibbia della cucina regionale della Gosetti della Salda ha a che fare con il mio biscotto preferito, quello che ricordo di aver mangiato fin da piccolissima, quando ci arrivava in dono nelle classiche scatole di latta rossa che mi madre conservava per riporre cartoline, bottoni, medicine...I Crumiri non smettono mai di piacermi ma non ho ancora avuto l'opportunità di assaggiarne di artigianali per capire la differenza con quelli che conosco da sempre.
Tra le millanta ricette di questo portentoso volume, la prima che mi è venuta alla mente senza neanche pensarci un nanosecondo è stata proprio quella dei Crumiri, per togliermi una volta per tutte la curiosità.
C'era però un unico ostacolo che mi separava dal desiderio di addentare uno di questi meravigliosi biscotti ed era di natura tecnica: come diavolo avrei fatto ad ottenere quegl'inconfondibili tronchetti rugosi e rustici senza una trafila a stella?
Interpretando mentalmente la ricetta, sapevo già che la consistenza dell'impasto non sarebbe stata quella della frolla montata, così semplice da utilizzare in un sac a poche. In effetti la Gosetti parla di siringa da pasticceria.
In secondo luogo non sono stata neanche in grado di trovare una bocchetta a stella sufficientemente grande perché quella da 1 cm, vi dico fin da adesso, è troppo piccola.
Ci vuole una da 12 mm se non oltre.
L'impasto è morbido ma comunque non semplice gestire se l'imboccatura del vostro beccuccio è piccola. La soluzione ultima sarebbe stata quella di comprare una sparabiscotti, ma da sempre appartengo al partito del "biscotto a mano".
Ho rovesciato il cassetto delle caccavelle cercando una soluzione e quando ormai stavo per gettare la spugna, l'occhio mi è caduto sulla rigagnocchi.
Da lì, il resto è storia: ho rotolato i miei cilindetti di pasta sulla tavoletta di legno e li ho trasferiti delicatamente con una spatola sulla placca da forno. Poi li ho lasciati un'ora buona in frigo affinché non perdessero la forma. Il risultato è quello che vedete.
Poche parole sui Crumiri: sono biscotti tipici del Monferrato ma si trovano su tutto il territorio piemontese e molte sono le versioni.
La Gosetti riporta in ricetta la farina di mais, quando invece in molte versioni non è presente. Personalmente ho molto amato il risultato ottenuto, che mi ricorda molto da vicino le paste di meliga.
Ho eliminato la vanillina sostituendola con semi di vaniglia (la vanillina era l'aroma delle nostre mamme ma io la detesto cordialmente), ed ho cercato il migliore burro che ho trovato perché il successo di queste frolle parte tutto da lì.
Un altro elemento fondamentale è la cottura e qui dovrete tenere l'occhio sul vostro forno. Io ho cercato di colorarli un po' di più perché risultano più croccanti. Ma con il mio forno, in 18 minuti erano abbronzati, in 20 bruciati. Quindi monitorate con attenzione perché la temperatura è sostenuta.
La Gosetti racconta che in alcune versioni si utilizzano aromi diversi, come il limone o il cacao ed il miele. Sul miele ho la netta sensazione che sia l'ingrediente segreto, perché la mia memoria gustativa ne conserva una vaga sensazione.
Provateli: io terrò cara questa ricetta.

Ingredienti
280 g di farina gialla finissima
280 g di burro
200 g di farina bianca
160 g di zucchero
4 uova (solo tuorli)
1 bustina di vanillina (sostituita da semi di vaniglia in bacca)
burro e farina per la placca.

Mescolare insieme le due farine (qualora la farina di mais non sia finissima, consiglio di frullarla per un attimo nel cutter per ottenere una polvere), lo zucchero e le bacche di vaniglia, versando poi tutto sulla spianatoia.
Incorporatevi i quattro tuorli ed il burro. Lavorate bene la pasta  e fatene una palla. Avvolgetela nella pellicola e fatela riposare per c.ca mezz'ora (non specifica se in frigo - io ci ho passato i biscotti una volta preparati).
Dividete poi la pasta in due o tre pezzi , prendere un pezzo alla volta, arrotolarlo a forma di salsicciotto e mettetelo in una siringa da pasticceria, applicando il disco con il motivo a stella.
Infarinate leggermente la spianatoia e fate uscire dalla siringa del cannelli rigati, tagliando poi questi pezzi lunghi circa 10 cm. Appoggiate delicatamente i pezzetti di pasta sulla placca del forno imburrata ed infarinata, dando loro la forma di una mezza luna appena accennata.
Cuocete i Crumiri in forno ben caldo (200°C) lasciandoli fino a quando avranno preso un bel colore biondo (cc.a 20 minuti). Chiusi in scatole di latta si conservano benissimo.



giovedì 20 febbraio 2014

2076 - MALLOREDDUS - GOSETTI DELLA SALDA


A Gennaio, per il primo appuntamento con i Classici dello Starbooks, la nuova rubrica che "rispolvera" i libri di cucina che sono alla base della nostra cucina, e che da Gennaio a Marzo è il bellissimo libro di Anna Gosetti della Salda: Le Ricette Regionali Italiane, non mi sono spostata molto da casa, visto che sono rimasta in Lombardia. Regione in cui sono nata, e dove c'è una parte delle mie origini. Ma l'altra metà del sangue che scorre nelle mie vene è sardo. Ed è nella meravigliosa Sardegna che vi vorrei portare con la ricetta che ho scelto, e che viene considerata la più tradizionale della cucina sarda: i Malloreddus, o meglio Is Malloreddus, per dirlo proprio alla sarda. Ma nella stessa Sardegna, Is Malloreddus cambiano nome a seconda delle zone in cui si preparano. Li troverete anche con il nome di Maccarones cravaos o Aidos o Ciciones, mentre in italiano vengono chiamati Gnocchetti Sardi. Un piccola curiosità sull'origine del nome. Malloreddus è il diminutivo di Malloru - toro- quindi i Malloreddus sono i vitellini ;)

Ricordatevi  l'appuntamento con lo Starbook Redone di Febbraio, avete tempo per pubblicare le vostre ricette fino al 26 Febbraio compreso. Vi aspettiamo!!!


2076- Malloreddus (maccarones cravaos o aidos o ciciones)
Anna Gosetti della Salda, Le Ricette Regionali Italiane

in corsivo le mie note

Ingredienti per 6-8 persone

pomodori freschi  (o pelati) 1 Kg
farina di semola 600 g
salsiccia del Campidano 50 g
una cipolla
3 foglie di basilico
uno spicchio d'aglio
formaggio Pecorino grattugiato
una puntina di zafferano
poca farina bianca
olio d'oliva (extravergine)
sale e pepe

Impastare la farina di semola con un pizzico di sale e poca acqua tiepida nella quale si sarà sciolto lo zafferano. Lavorare con cura fino a ricavarne un impasto ben legato e piuttosto sodo. Mio consiglio: non fatevi tentare dall'aggiungere troppa acqua, l'impasto deve essere ben sodo (dopo il riposo sarà più morbido e malleabile), questo permetterà di ottenere una pasta di una certa consistenza, che manterrà la forma anche in cottura, ed è così che dev'essere. Quando l'impasto sarà pronto (la Gosetti non scrive che l'impasto va fatto riposare) staccare un pezzetto di pasta e arrotolarla sotto le mani facendo un piccolo bastoncino avente una circonferenza di mezzo centimetro; infarinarlo e staccare con il pollice dei minuscoli pezzetti della lunghezza di un fagiolo (io li ho tagliati con un coltello). Mentre si staccano, premerne uno per volta su un setaccio dal fondo di refe ritorto, facendoli rotolare sì che risultino arricciati. Proseguire in questo modo sino ad aver esaurito tutta la pasta. Lasciarli asciugare uno o due giorni. Il setaccio a cui si riferisce la Gosetti, non è quello che si intende comunemente, ma è un cestino di paglia rigato, che veniva usato in passato. Ormai quasi tutti formano i Malloreddus con il classico riga gnocchi di legno. Sul libro c'è un disegno degli gnocchetti, formati utilizzando il retro di una grattugia, il risultato è quello che vede qui sotto ;) Anche l'utilizzo dello zafferano direttamente nell'impasto oggi è meno usuale; la tendenza è quella di aggiungerlo al condimento. Io l'ho messo sia nell'impasto che nel condimento ;) La Sardegna è una delle pochissime regioni italiane in cui si coltiva il prezioso zafferano.


Preparare il sugo mettendo in una casseruola la salsiccia spezzettata e due cucchiaiate d'olio, unire la cipolla tritata, l'aglio schiacciato - che andrà poi tolto - e il basilico; rosolare bene gli ingredienti, poi unire i pomidori pelati e fatti a pezzi. Mettere sul fuoco una pentola contenente acqua salata e, quando si alzerà il bollore, lessare i Malloreddus, scolarli e condirli col sugo e con formaggio Pecorino grattugiato. Il condimento si prepara anche unendo al soffritto della carne macinata.
Il tempo di cottura della pasta, se fatta seccare come indicato nella ricetta, è di 14-15 minuti circa. Se preferite cuocerla subito, abbreviate il tempo di cottura... vale sempre la prova assaggio!
Con 200 g di farina ho ottenuto due porzioni di pasta, ma abbiamo mangiato solo quello, dato che per il sugo ho utilizzato tutti i 50 g di salsiccia previsti dalla ricetta...
Della "poca farina" e del "pepe" indicati tra gli ingredienti non c'è traccia nel procedimento... Il pepe utilizzatelo nel sugo. Della "poca farina" non saprei cosa dirvi, io non l'ho utilizzata...
Questo formato di pasta è piuttosto semplice da realizzare, ed è molto divertente.. basta un pizzico di manualità :)
Con un buon bicchiere di vino, magari del Cannonau, giusto per rimanere in Sardegna, avrete un pranzo da Re! 

mercoledì 19 febbraio 2014

2057 - MAZARESI AL PISTACCHIO - GOSETTI DELLA SALDA


Se per la prima ricetta del Classico che ho realizzato sono andata in Piemonte, questo mese ho deciso di scendere nella Terra dei miei Avi, la Sicilia.
Sfogliando il libro l'occhio mi è caduto sulla ricetta di dolcetti della mia città d'origine, Mazara del Vallo. Come non provarli?
La prima cosa che mi ha colpita (e non in positivo, devo ammetterlo) è stata l'elevatissima quantità di tuorli: se già i pistacchi, semi oleosi, sono grassi, aggiungere 11 tuorli non contribuisce alla dieteticità della ricetta. Poi però mi sono detta che le nostre ricette tradizionali sono spesso molto ricche di grassi e zuccheri: all'epoca non vi era l'ossessione della linea come adesso, e anzi nella mia Sicilia una donna in carne era considerata più bella di una magra, anche perché dimostrava la prosperità della sua famiglia, in un'epoca in cui non vi era l'abbondanza di cibo che c'è adesso.
Insomma, ho voluto provare la ricetta eseguendola pedissequamente e ne sono stata davvero molto soddisfatta.


MAZARESI AL PISTACCHIO
Da: Anna Gosetti Della Salda - Le ricette regionali italiane - Solares


Per circa 20 Mazaresi

200 g pistacchi sgusciati
150 g zucchero semolato
75 g farina 00
75 g fecola di patate
11 tuorli
3 albumi
1 arancia non trattata (scorza)
sale
burro per imburrare gli stampini


Mettere sul fuoco un pentolino con acqua salata; quando bolle spegnere e buttare i pistacchi nell'acqua (il sale serve a mantenere il loro color verde) e levare la pellicina che li ricopre.
Appena saranno pronti farli asciugare per 5 minuti in forno.

Preriscaldare il forno a 150 °C.

Pestare i pistacchi nel mortaio, unendo un poco di zucchero prelevato dal totale (io ho usato il robot da cucina con il tasto pulse, per non far fuoriuscire l'olio dai pistacchi).
Quando saranno ridotti in polvere versare tutto quanto in una terrina, unire il rimanente zucchero e amalgamarvi, uno per volta, tutti i tuorli (mettendo in una scodella a parte 3 albumi) incorporandoli perfettamente. Unire poi, sempre mescolando, la farina, la fecola e la scorza dell'arancia grattugiata.
Montare a neve sodissima i tre albumi (io ci ho aggiunto un pizzico di sale) e amalgamarli al composto con delicatezza.
Imburrare bene degli stampini ovali e riempirli con il composto.
Cuocere per 25 minuti a 150 °C, così che mantengano inalterato il loro colore verde.
Servirli freddi accompagnandoli con Malvasia o Passito di Pantelleria.

Note:

Le uova devono essere freschissime, preferibilmente da allevamento a terra: essendocene così tante infatti, se fossero meno che fresche il sapore finale ne risentirebbe.

Contrariamente alla stragrande maggioranza dei dolci siciliani, questi Mazaresi sono poco dolci; perfetto l'abbinamento con il profumato Passito di Pantelleria, che esalta il sapore dei pistacchi.

Avevo in casa solo 100 g di pistacchi sgusciati, quindi ho dimezzato le dosi. Questo mi ha posto il problema di dimezzare i tre albumi da montare a neve. Ho risolto usando l’albume di 1 uovo medio e quello di 1 uovo grande (peso totale col guscio: 75 g).

Il metodo migliore per incorporare gli albumi a un impasto è quello di metterne prima circa 1/3 e amalgamare col cucchiaio di legno con un movimento delicato dal basso verso l'alto, ruotando la ciotola di 1/4 di giro ad ogni movimento. Questo ammorbidisce l'impasto; versare i restanti albumi montati a neve nella ciotola e incorporarli delicatamente: l'impasto ammorbidito in precedenza si amalgamerà più facilmente e non si smonterà.

La Gosetti non indica le dimensioni degli stampini, dice solo che quelli tradizionali sono ovali. Io di stampini ovali non ne avevo, così ho usato quelli quadrati in silicone.

Pur avendo in casa la farina di pistacchi, che compero ogni anno in Sicilia, ho voluto provare il procedimento dall’inizio per verificarne tutti i passaggi. Se però avete in casa la farina di pistacchi usatela: risparmierete tempo. J

Ho visto in rete fotografie con Mazaresi verdissimi all'interno; a me tutti i dolci con pistacchi in forno perdono il colore verde brillante. Non ho ancora capito se questo dipenda dalla qualità dei pistacchi che uso io, o dai coloranti usati da altri...

martedì 18 febbraio 2014

PANISCIA (RISOTTO ALLA NOVARESE)- GOSETTI DELLA SALDA


Finalmente una ricetta con il nome giusto : "paniscia" , così si chiama questo piatto della tradizione novarese conosciuto e apprezzato.
E’ un piatto antico e contadino che ha mille versioni , anche la Gosetti riporta infatti una variante possibile : quella di aggiungere i porri , che personalmente non avevo mai sentito.
Ogni famiglia ha la “sua” paniscia e anch’io ho la mia che si discosta di pochissimo da quella presentata dalla nostra autrice .
Diciamo che io la faccio leggermente più light : non metto né lardo e né cotenna ma gli altri ingredienti li confermo tutti.
A volte aggiungo sia il salame della duja che un pezzo di mortadella di fegato che regala un sapore più intenso.
Anche se la mangiate nelle trattorie della zona non troverete mai una paniscia uguale all’altra : ci sarà quella che avrà più fagioli, un’altra che saprà più di verza, un’altra sarà più ricca in verdure e un’altra più di salumi

Paniscia
Per 4 persone

Ingredienti:
300 gr riso (carnaroli)
100 gr. Salame d’la duja (o mortadella di fegato)
50 gr cotenne di maiale
50 gr lardo
50 gr. Burro
1 bicchiere di vino rosso
Sale 
Pepe

Verdure: 
200 gr fagioli borlotti (freschi, già sgranati) 
Una costa di sedano
Una carota
Mezza verza 
Alcuni pomodori da sugo
Una piccola cipolla

Lavare e tritare grossolanamente tutte le verdure e poi metterle (esclusa la cipolla) in una grande casseruola. Unire le cotenne tagliate a listarelle ed i fagioli : versare sulle verdure un litro e mezzo di acqua. Salare e pepare, incoperchiare il recipiente e far cuocere per circa due ore (in talune famiglie viene aggiunta una massiccia dose di porri).
Nel frattempo tritare il lardo, il salame e la cipolla. In un capace recipiente mettere il burro e farlo soffriggere con la cipolla, il salame e il lardo. Unire il riso, rosolarlo bene bagnandolo ogni tanto con il vino rosso, poi aggiungere, sempre poco alla volta, il minestrone preparato, verdure comprese.
Quando il riso sarà quasi pronto, levare il recipiente dal fuoco, far riposare la paniscia per cinque minuti, quindi peparla ancora e servirla immediatamente.

Nota dell’autrice  : il nome “duja” significa : orcio. E’ in esso che questo salame viene conservato ricoperto di strutto fuso . Con tale antico metodo di conservazione il salame mantiene la sua morbidezza così da sembrare sempre presco.

Nota mia : il salame della duja  prima di essere utilizzato va pulito da tutto lo strutto e va tolta la pelle. Fa parte del classico antipasto novarese composto , oltre che da questo salame, anche dalla mortadella di fegato  serviti con  sottoaceti fatti in casa  e dal cotechino e dal marzapane (sorta di "insaccato"  tipico della zona, preparato con sangue di maiale, lardo, pane ) caldi .

Piatti ricchi , calorici e sostanziosi per combattere con piacere mangereccio,  le giornate umide, fredde e nebbiose della piatta pianura padana.

Ci si scalda  mangiando , bevendo ottimi vini possibilmente in compagnia di amici del cuore!

lunedì 17 febbraio 2014

N. 195 -FOCACCIA ALL'OLIO ALLA GENOVESE- GOSETTI DELLA SALDA




Come si è diceva una settimana fa, presentando Le Ricette Regionali Italiane di Fernanda Gosetti della Salda, è praticamente impossibile non imbattersi in qualche ricetta che non corrisponda a quella di casa propria. Il "mantra" con cui  di solito si affronta il tema della cucina regionale, infatti, è "cucina che vai, ricetta che trovi" e mai luogo comune ebbeun fondamento tanto veritiero come quello appena citato. 
La sottoscritta non fa eccezione: e così, dopo aver eseguito pedissequamente un piatto a me sconosciuto come la Coda alla Vaccinara, con piena soddisfazione sia mia, che l'ho cucinata, sia di mio marito, che l'ha mangiata, ho ceduto alla tentazione di sfidare sul campo l'autrice- e di farlo con il mostro sacro della gastronomia genovese, vale a dire la focaccia. 

Che, come ho ripetuto ad nauseam in questi anni, è un unicum nel variegato panorama delle focacce italiane: la sua caratteristica principale è infatti quella di essere croccante sopra e morbida sotto, dorata in superficie e pallida sul fondo e ricoperta da una serie di "fossette" abbastanza regolari, nelle quali si annidano i sae grosso e l'olio, rigorosamente extravergine, con cui noi Genovesi infrangiamo la regola che ci vuole parchi e parsimoniosi, irrorando a profusione la teglia e l'impasto, prima di metterlo in forno.

Il segreto, quindi, è tutto lì, nella lavorazione finale: tant'è che una ricetta codificata di focaccia neppure esiste, a conferma di come il trucco non stia nelle dosi del'impasto quanto nella scelta degli ingredienti e nelle fasi che precedono la cottura. Saltate queste- e avrete una focaccia qualunque. Seguitele con attenzione- e potrete gustarvi una perfetta focaccia genovese, anche se vi trovate a migliaia di km dalla mia città. 




FOCACCIA ALL'OLIO
ingredienti
pasta da pane lievitata
olio d'oliva
sale
Acquistare nel quantitativo desiderato della pasta da pane già lievitata. Stenderla in modo uniforme in una tortiera precedentemente unta di olio e spolverizzata di sale; spolverizzate di sale anche la pasta, pizzicatela in superficie ed ungerla con abbondante olio. Mettere la tortiera in forno caldo a 200° e lasciar cuocere la "focaccia" fino a quando sarà colorita. Si può servire calda o tiepida. 
Varianti: in alcune parti della Liguria vengono aggiunti dei semi di finocchio o, come a Sanremo, della cipolla affettata molto finemente"

Così parlò la Gosetti e, se avete letto la premessa, potete facimente immaginare la mia delusione. 

Che però non riguarda la serietà dell'autrice, anzi: la ricetta che lei riporta è pressoché identica a quella trascritta da Giovanni Battista Ratto,  ne La Cuciniera Genovese, edita nel 1863: "Ungete d'olio il fondo di una tegghia, poscia spolverizzatelo di sale; prendete quindi unpane di pasta lievitata e schiacciateo addosso, tanto che venga a coprire tutta quanta la tegghia, pizzicatene la superficie, che poscia aspergerete di olio e di sale, indi fatela cuocere in forno, oppure in casa a forno di campagna"

Lo stesso procedimento si trova anche nell'altra Cuciniera, quella scritta dal livornese Emanuele Rossi, di poco successiva alla prima, in cui si legge: "Prendete tanta pasta lievitata da far pane, quanta ve ne abbisogna; distendetela uniformemente in una teglia (il fondo della quale avrete prima unto con olio e poi cosparso di sale) pizzicatene la superficie colle dita, spargetevi sopra altro sale ed olio e fatela cuocere al forno"

Quindi, dal punto di vista della serietà, nessuna pecca, anzi: la Gosetti consulta i testi antichi, forti di una autorevolezza fuori discussione come sono appunto le Cuciniere e, per così dire, si fida. 

Quello con cui non fa i conti l'autrice è che la focaccia descritta da queste fonti non è l'attuale focaccia che ci dà i buongiorno al mattino, pucciata nel caffelatte, e ci accompagna fino all'aperitivo o alla cena, nel cestino del pane: prova ne è, fra le altre, l'assenza dei "buchi" (noi li chiamiamo "ombrisalli", ombelichi"), sostituiti da non ben precisati "pizzicotti", oltre alla generica indicazione dell"olio d'oliva" al posto dell'insostituibile extravergine. E l'insistenza non è pedanteria: se mai c'è un ingrediente che fa la differenza, in questa preparazione, è proprio questo. Se non ci credete, verificate sul campo: ve ne accorgerete al primo morso. 



Tornando alla Gosetti, allora, com'è che prende una cantonata del genere? 
La risposta è molto più semplice di quanto possa sembrare: la Gosetti prende una bella cantonata perchè suppone che la focaccia genovese sia, al pari delle altre ricette raccolte, una preparazione antica. 
Cosa che invece non è. 
O meglio: non lo è, nelle forme caratteristiche in cui la conosciamo oggi che si diffusero solo nel secolo scorso e che subirono modifiche fino a qualche decennio fa (la cottura in salamoia, per esempio, è un prodotto della fine degli anni Settanta-primi anni Ottanta): prima di allora, il termine "focaccia" era generico e riguardava un po' tutte le preparazioni che vengono etichettate con questo nome, comprese anche quelle dolci. E al tempo delle Cuciniere, era ancora così. 

Passando alla prova pratica, ho barato spudoratamente
1. la "pasta da pane lievitata" è stata preparata con 500 g di farina, 250-280 ml d'acqua, 10 g di lievito e un bel po' di sale fino ed è stata fatta lievitare per 4 ore, la prima volta, in due recipienti separati;
2. poi ho preso due teglie rettangolari, le ho unte di olio extravergine (quello del frantoio) come se non ci fosse un domani e ho versato i due impasti, uno in una tegia, uno in un'altra, senza sgonfiarli sulla spianatoia. 
3. armandomi di santa pazienza, con le dita, ho allargato la pasta sulla teglia, aspettando qualche minuto fra un allargamento e l'altro. 

(QUI, HO PROVATO A DARE I PIZZICOTTI...)

4. Poi ho spolverato la superficie con sale grosso da cucina e ho premuto con i polpastrelli di entrambe le mani , delicatamente, su tutto l'impasto: non si deve bucare, ma solo avvallare, leggermente. Ho poi irrorato con olio e acqua, in parti uguali (circa 70 ml in tutto, per ogni teglia)
5. ho fatto lievitare nel forno spento per un'altra ora- ma ce ne sarebbero volute due, è che ho iniziato tardi. 
6. ho tirato via le teglie e ho acceso il forno a 230° C, modalità statica
6. ho infornato per una ventina di minuti. Negli ultimi 5 minuti, ho spennellato la superficie con ulteriore olio, per altre tre volte. 
Alla fine, eccola qua, bella bassa come piace a noi...



Questo è, dunque, il procedimento per la "vera" focaccia alla genovese, così come la intendiamo oggi: e se mai ci fu "errore" nel libro, è stato quello di un'eccessiva fiducia nelle fonti. Come dire, che se invece di rinchiudersi in una biblioteca, la Fernanda fosse scesa a prendersi un po' di aria di mare, magari condividendo con noi il rituale della focaccia calda, pucciata nel cappuccino, avrebbe capito che, qualche volta, l'esperienza vale più dei sacri testi...

sabato 25 gennaio 2014

51 - RISO E PORRI DEGLI ORTOLANI DI ASTI - GOSETTI DELLA SALDA


Questa ricetta per me è stata amore a prima vista.
Io i libri comincio a leggerli dall'introduzione, tutti, senza eccezione; poi mi metto a sfogliarli con calma leggendo i titoli delle ricette e guardando le immagini, se ve ne sono. In questo libro le immagini sono le grandi assenti, ma mi credete se vi dico che me ne sono resa pienamente conto solo dopo aver letto il post di Alessandra? Perché vedete, è tanta la sapienza ivi contenuta, che davvero delle foto non ho sentito la mancanza.

Ero dunque armata di post-it per segnare le ricette, e la prima che ha catturato il mio occhio è stata proprio questa semplicissima minestra di riso e porri. Mi sono quindi soffermata a leggerla, e ne sono rimasta incantata. Conoscevo l'esistenza dei fondi, ricordo che a un corso che ho seguito anni fa con Danilo Angè, lui ci aveva detto che ogni volta che vede dei begli scalogni li compera e ci prepara un fondo, da tanto gli piace; L'idea avrebbe dovuto entrarmi in testa prima, ma ci è voluto il prezioso volume di Anna Gosetti Della Salda per piantarmela saldamente nel cervello.

Quel fondo di porri che suda dolcemente per 20 minuti regala a questa minestra un sapore e una corposità meravigliosi, tanto che ho cominciato a usare questa tecnica anche con altre preparazioni, usando la cipolla o lo scalogno al posto dei porri e includendo sempre un pochino di lardo.
La patata lessata insieme agli altri ingredienti e poi schiacciata addensa la minestra in modo semplice e naturale (oltre che gluten-free, il che non guasta mai!), il lardo dà sapore, la noce moscata (che mai avrei impiegato in una preparazione del genere) ci sta benissimo e i formaggi donano cremosità, morbidezza e gusto.
Me la sono preparata diverse volte, da quando l'ho provata: è un piatto umile, semplice e gustoso, che scalda nelle fredde serate invernali.


51 - RISO E PORRI DEGLI ORTOLANI DI ASTI



Per 4 persone:

200 g di riso Vialone o Arborio (io ho usato un Vialone Nano IGP)
200 g di porro mondato
100 g di patata pelata
60 g di burro
50 g di Parmigiano grattugiato
50 g di Groviera (io Gruyère svizzero)
50 g di Fontina
25 g di lardo
Alloro
Aglio
Noce moscata
Sale
Pepe di mulinello
1,2 litri di acqua


Tagliare il porro a rondelle piuttosto spesse.
Far sciogliere 30 g di burro in una casseruola (meglio se di coccio, aggiungo io), aggiungere la metà dei porri, 1 foglia di alloro, mezzo spicchio di aglio (che poi andrà tolto), ed il lardo tagliato a minuscoli dadini. Mescolare e soffriggere dolcemente a recipiente coperto per circa 20 minuti, rimestando di tanto in tanto.
Questa parte dei porri formerà il cosiddetto fondo della minestra: aggiungere successivamente i restanti porri e la patata tagliata a metà. Dopo qualche minuto versare nella casseruola un litro e 200 g di acqua fredda. Salare leggermente, pepare e sobbollire per 15 minuti, poi aggiungere il riso e lasciarlo cuocere mescolando di tanto in tanto, e aromatizzando la minestra con una grattatina di noce moscata.
Poco prima di toglierla dal fornello, schiacciare la patata con i rebbi di una forchetta ed incorporarvi i formaggi tagliati a pezzettini.
Fuori dal fuoco mantecare la minestra con il restante burro, versarla nella zuppiera, farla riposare qualche istante e poi servire.

Nota (presa dal libro):    L'origine di questo piatto risale al Medioevo. Fin da quell'epoca alcuni orti cingevano la periferia di Asti, nella fertile piana del Tanaro, ed erano coltivati soprattutto ad aglio e porri. Gli ultimi vecchi ortolani d'Asti ci hanno dato questa ricetta; essi dicono che il porro fa bene agli occhi e "pulisce" il sangue. Questo, comunque, è un piatto rinfrescante e digeribilissimo, oltre che economico, perché si possono utilizzare tutti gli eventuali avanzi di formaggio.



Nota mia: questa ricetta è assolutamente perfetta.
L'unica avvertenza che mi sento di dare è quella di preparare il fondo in un tegame di coccio (io a dire il vero ho preparato l'intera minestra nel coccio), perché il calore vi si diffonde più lentamente ma rimane costante più a lungo. L'unica volta che ho usato una normale pentola in metallo, nonostante l'avessi messa sul fornello piccolo e con la fiamma al minimo, il fondo si è bruciacchiato. Colpa mia che mi sono distratta, sia chiaro, ma come scriveva Gaia noi moderni siamo tutti un po' dummies. :-)

Ricordatevi di togliere il mezzo spicchio d'aglio! La Gosetti non lo ricorda più nel corso della ricetta, voi fatelo. ;-)

venerdì 24 gennaio 2014

1419- CODA ALLA VACCINARA- GOSETTI DELLA SALDA

  

Terzo  appuntamento con Le Ricette Regionali Italiane di Anna Gosetti Della Salda e primo e finora unico appuntamento della mia lunga vita ai fornelli con la coda.

Mai preparata una coda in vita mia, né alla Vaccinara, né in altri modi.

Anzi, già che siamo in tema di confidenze: neppure mai mangiata. e neanche assaggiata: il quinto quarto fa parte di quegli ingredienti con cui so di dovermi riconciliare, ma per un motivo o per l'altro, ogni volta che passa il calumet della pace non sono pronta e finisco sempre per rimandare.
In compenso, mio marito ne va matto: di code, di interiora, di lingue, di tutte quelle robe che fan tanto "Hannibal the Cannibal" e che riesce sempre a mettermi nel carrello della spesa, appena giro l'occhio.
E' andata così anche l'ultima volta, quando nel sistemare la carne in frigo è saltato fuori l'intruso, subito seguito dalla pronta spiegazione del marito che, ha detto, aveva voglia di Coda alla Vaccinara.
Da brava moglie, ho obbedito.
Non solo: credo anche di essermi magicamente trasformata in una brava Starbooker, visto che per la prima volta in vita mia ho seguito una ricetta alla lettera, impossibilitata com'ero dalla mia ignoranza a farmi guidare dall'ispirazione del momento: neppure c'è stato bisogno di correggere di sale, visto che era perfetta così.
E tale è rimasta anche al momento di servire: mio marito se l'è fatta fuori da solo in due riprese, mugolando soddisfatto, neanche l'avesse preparata la mamma sua.
Fortuna del principiante- o infallibilità del ricettario?
Leggete qui sotto- e fate un po' voi...


1419 - Coda alla vaccinara



per 8 persone
1 coda e guancia di bue, kg 2
lardo, g 100
strutto, g 30
prezzemolo, g 30
1 carota
1 cipolla
1 spicchio d'aglio
1 sedano bianco e tenero
vino bianco: circa 1 bicchiere
salsa di pomodoro
sale pepe


Mondare, lavare e tritare finissimi prezzemolo, aglio, cipolla e carota. Tritare il lardo. Tagliare la coda e la guancia a pezzetti, lavarli e immergerli in acqua in ebollizione; quando l'acqua alzerà di nuovo il bollore togliere la carne. Mettere in una casseruola di terracotta il lardo, lo strutto e tutto quanto è stato tritato. Lasciare soffriggere per un istante, poi unire i pezzetti di coda e guancia, mescolare e rosolare sino a che la carne si sarà leggermente colorita. Allora salare, pepare, continuare la rosolatura bagnando poco per volta con il vino bianco. Quando questo sarà evaporato unire una o due cucchiaiate di salsa di pomodoro sciolta in circa mezzo litro d'acqua calda. Incoperchiare il recipiente e cuocere il tutto a fuoco moderatissimo per circa 4 ore. Pulire le coste del sedano, lavarle, tagliarle a pezzetti ed unirle alla carne dopo le 4 ore di cottura, lasciandola sul fuoco ancora per mezz'ora. Versare la carne sul piatto di portata, irrorarla con il suo sugo e servirla subito ben bollente. 

Variante: la coda alla vaccinara, nata nel Rione Regola, abitato da vaccinari, si prepara anche rosolandola (dopo averla sbollentata) in olio, aglio e peperoncino rosso piccante. Dopo mezz'ora si aggiungono i pomidori spezzettati e il vino bianco. A tre quarti di cottura si unisce il sedano. Portata popolare, in auge ancor oggi.


 Note mie

1. Quella proposta dalla Gosetti è una delle tre versioni  più comuni della ricetta classica: oltre a questa, che prevede una iniziale rosolatura in padella e poi una cottura lunghissima, in umido, esistono quelladi tradizione più povera, ricordata da Ada Boni (per cui prima si lessa la coda, per fare il brodo, e poi la si fa insaporire in tegame con un battuto di verdure per il soffritto e gli immancabili lardo e pomodoro, per mangiarla come secondo piatto) e quella più ricca, che prevede la cioccolata amara, l'uvetta, i pinoli e cannella o noce moscata. La ricetta della Gosetti prevede anche la presenza della guancia, complemento ricco del piatto, che io però non ho usato, causa imperdonabile  negligenza del macellaio (l'"imperdonabile" è un'aggiunta del marito, ovviamente)

2. Anche se l'autrice non lo dice, la vera difficoltà del piatto è nella fase iniziale della rosolatura: commettere un errore in questa prima parte significa correre il rischio di far lessare la coda che invece, deve essere sì morbidissima, ma non bollita. Tuttavia, le indicazioni per aggirare l'ostacolo ci sono tutte, non ultima l'avvertenza a bagnare la carne col vino bianco poco per volta, aggiungendo il resto solo a dealcolizzazione avvenuta. 

3. Anche se io ho usato una pentola di ghisa, l'indicazione della terracotta è corretta, perchè anche questo è un materiale che ben si resta alle lunghe cotture. 

4. Altro passaggio che ho apprezzato è lo sbollentamento preliminare, veloce, quel tanto che basta per sgrassare la coda (non indicato nei ricettari che possiedo): magari, avrei preferito che l'autrice spiegasse anche il perché di questa procedura, ma qui torniamo al discorso che facevamo ieri- e cioè che trenta e passa anni fa, certe cose si davan per scontate. 

5.  Volendo proprio trovare qualcosa che non va, il mezzo litro di acqua in cui si è fatta cuocere la coda si è rivelato insufficiente, per reggere quattro ore di cottura, anche se la fiamma era al minimo: ho dovuto aggiungerne un mestolino, almeno due volte. E, forse, le dosi sono un po' ridotte, per otto persone. Ma, ripeto, è proprio per non perdere il vizio della petulanza, nulla di più.

Poi, come sempre, trattandosi di una ricetta di tradizione (e che tradizione...) è ovvio che ci siano decine e decine di varianti, tutte ugualmente buone e degne di essere assaggiate: ma non è questo l'argomento all'ordine del giorno, visto che il Classico di quest'oggi non è una monografia sulla Coda alla Vaccinara, ma un libro fedele al titolo che porta. Questa è la versione scelta dall'autrice e quello che vedete nella foto è il risultato di una pedissequa esecuzione, il cui risultato è stato sobriamente apprezzato, fra inquietanti mugolii di soddisfazione e invereconde puccette nella pentola. 
Quasi quasi, la prossima volta la assaggio anch'io...
A domani, con un'altra ricetta
Ale

giovedì 23 gennaio 2014

459 - FRITTATA DI RISO - GOSETTI DELLA SALDA


Il libro Classico del primo mese di questo nuovo appuntamento dello Starbook, è un libro che amo da tempo. Uno di quelli che sfoglio spesso, anche solo per il piacere di sentire quella carta così familiare tra le mani. E' il mio libro di fiducia quando sono alla ricerca di ricette della tradizione italiana. 
Le Ricette Regionali italiane mi fa compagnia ormai da diversii anni, da quando lo ricevetti in regalo da una delle mie più care amiche, che me lo regalò in occasione di un compleanno... regalo graditissimo!!!
Ho pensato parecchio a quale ricetta scegliere, non è mica facile farlo tra le 2161 ricette presenti nel libro, più le 13 ricette di base! Poi ho pensato che mi sarebbe piaciuto preparare qualcosa con il riso, e l'occhio è finito sulla Frittata di riso, ricetta che si trova nel capitolo dedicato alla Lombardia, dove la coltivazione del riso abbonda.
La ricetta è semplice ma ricca, dal sapore confortevole, che sa di casa e di pasti consumati in famiglia. E si prepara velocemente!

Frittata di riso

da: Le Ricette Regionali Italiane di Anna Gosetti della Salda - Casa editrice Solares 

tra parentesi le mie note

Ingredienti per 4 persone

150 di riso (per me Carnaroli)
100 g di burro
6 uova
mezzo litro di latte
Parmigiano grattugiato (per me 100 g circa)
sale

Porre sul fuoco una pentolina con il latte, appena alzerà il bollore versarvi il riso, mescolarlo e lasciarlo cuocere a recipiente scoperto. Quando sarà pronto salarlo ed amalgamarvi la metà circa del burro, sei tuorli e un poco di parmigiano grattugiato; mescolare bene, poi incorporarvi gli albumi montati a neve ben soda. Soffriggere in una tortiera il restante burro, versarvi il composto, livellarlo, quindi porre il recipiente in forno già caldo - temperatura normale (180 - 190°C) lasciandovelo finché si vedrà la "frittata" ben cotta e colorita in superficie (per me,sono stati necessari 30 minuti circa). Capovolgerla sul piatto di portata e servirla subito. E' però ottima anche gustata fredda.

E' deliziosa :)



Note personali 

  • Quando il riso sarà cotto avrà assorbito tutto il latte e sarà abbastanza cremoso. Attenzione a non stracuocerlo, visto che poi cuocerà anche in forno. Tenete il fuoco medio basso durante la cottura in modo che avvenga in modo dolce. 
  • Ho unito il burro subito dopo la cottura come da ricetta, in modo che si sciogliesse e si amalgamasse bene al riso. Per i tuorli ho preferito aspettare che il riso si intiepidisse, per evitare che i tuorli "cuocessero" subito.
  • Non viene specificata la quantità di parmigiano da utilizzare, io ho abbondato, perché nel riso mi piace che si senta il gusto del formaggio :) E poi ci sono anche sei uova, quindi 100 g di parmigiano non sono poi così esagerati...
  • Quando unite gli albumi montati, procedete come di norma, cioè unendone una prima parte, mescolando senza particolare attenzione. Questa prima aggiunta serve solo per ammorbidire il composto. Gli albumi restanti uniteli poco per volta, e mescolando con un cucchiaio di legno dal basso verso l'alto, per non smontarli, visto che poi daranno una sorta di effetto soufflè alla frittata. 
  • Non viene indicata la temperatura del forno, ma del resto all'epoca non è che molti forni fossero provvisti di termostato con l'indicazione delle temperature... Anche la dimensione della tortiera non viene fornita. Io ne ho utilizzata una di 26 cm di diametro, ed è andata bene. Vi consiglio di soffriggere il burro e aggiungere il riso in un tegame a parte (magari lo stesso dove avete già cotto il riso)  e versarlo dopo nella tortiera, foderata con carta forno. Io no l'ho fatto e ho avuto qualche difficoltà nello sformare la frittata.