Qualche settimana fa, giusto all'inizio dello Starbook di Novembre, un nostro fedele lettore ci accusava, simpaticamente, di essere troppo di parte, con Ottolenghi.
Inutile accampare scuse: ci dichiariamo colpevoli, vostro Onore- ma con alcune attenuanti.
La prima, personalissima, è il debito di gratitudine che lo Starbooks ha con questo autore: eravamo agli inizi del progetto, quando lo abbiamo proposto al pubblico italiano e muovevamo passi ancora incerti sulla strada da percorrere. Proporre Ottolenghi, 12 anni fa, ad un pubblico che ancora ondeggiava fra le scatolette della Parodi e la fuffa stellata di Masterchef era stato un azzardo, ma non un bluff: lo conoscevamo da prima, avevamo provato la sua cucina, studiato il suo primo libro, eravamo talmente consapevoli della sua forza che non avevamo usato mezze misure, con i nostri lettori: "se fossi un editore italiano, venderei mia madre pur di comprare i diritti di questo libro", avevo scritto di Plenty, a suo tempo, a corollario di una carrellata di ricette non solo testate, ma soprattutto spiegate, ingrediente per ingrediente, tecnica per tecnica, perché tutti potessero godere di tutta la forza innovativa e geniale di questo allora giovane prodigio della scena culinaria mondiale.
Da quel momento, lo Starbooks è diventato adulto: Ottolenghi ci ha dato sostanza, ci ha dato fiducia, ci ha indicato una direzione che, per quanto nuova, a noi e al pubblico italiano, abbiamo sentito da subito e continuiamo ancora a sentire come nostra. E' la sua cucina, il criterio con cui selezioniamo i libri, è il suo l'orizzonte a cui tendiamo. E, visti i risultati, direi che un grazie sia il minimo che gli si possa tributare.
La seconda attenuante, più oggettiva, è che quando si è di fronte a un fuoriclasse,i parametri di giudizio cambiano. Non nella direzione della benevolenza, però: dai Maradona, dai Messi, dai Ronaldo non ti aspetti solo che la buttino dentro. Vuoi una lezione di calcio, per tutti i 90 minuti più recupero e se non è così, torni a casa con l'amaro in bocca della delusione, anche se la classifica è migliorata. Con Simply, per esempio, siamo stati severissimi; Flavour non lo abbiamo neppure preso in considerazione, considerandolo troppo solipsistico e poco inclusivo. Logico, parafrasando Jim Morrison, se paragoniamo il primo allo stuolo di libri sulla cucina facile che sono usciti in questi anni, il confronto è esaltante, anzi: non c'è proprio storia. Ma noi lo abbiamo paragonato alla sua produzione, all'Ottolenghi al quale siamo abituati- e non gli abbiamo fatto nessunissimo sconto.
Questa premessa è necessaria perché quello che sto per scrivere, in questo Tiriamo le Somme, potrà forse sembrare esagerato, a chi capitasse qui per la prima volta. Tuttavia, così come non ci sono state esitazioni, la prima volta, non ce ne saranno neppure ora, in questa seconda volta che apre ufficialmente un nuovo capitolo nella produzione del nostro autore e che, in realtà, è il nuovo capitolo nella storia della cucina post Covid. Quella di cui tutti parlano e che Ottolenghi realizza, con il tocco magico che lo contraddistingue da sempre.
Anche se fa male dirlo, la cucina di questo Ventennio non avrà nulla dell'opulenza sfacciata e fighetta degli anni precedenti. Uscire dalla pandemia si sta rivelando una faccenda complicata, molto più di quanto si potesse prevedere: e se, per fortuna, abbiamo smesso con le scorte compulsive, subito dopo Netflix è la dispensa piena, a darci sicurezza e conforto. Ma il problema più grande, quello che è sul tavolo di tutti i Governi del mondo, è quello delle energie: al di là di che cosa verrà deciso, dovremo abituarci ad una mensa più parca, non nel senso della quantità, ma in quello della varietà degli ingredienti. La scarsità di materie prime che fa tanta notizia qui in Gran Bretagna è, in realtà, un deficit comune a tutto il mondo occidentale e si accompagna ad una maturazione delle coscienze che ci porta ad escludere sempre più convintamente certi cibi a favore di altri.
In poche parole, la cucina degli anni '20 del Terzo Millennio non sarà più basata sull'ingrediente, ma sull'inventiva- e sull'inventiva domestica, quella di chi vuol dire basta ai gastrofighettismi, a conti al ristorante che, prima che alla miseria, sono un insulto all'intelligenza della clientela, a km0 sfacciatamente predicati sotto strati di cachemire e pance piene, a ricette scelte sulla base dell'algoritmo di Instagram e non su quella delle pupille gustative e tutte quelle amenità da generazione viziata e arrogante che hanno segnato la comunicazione gastronomica di questi ultimi anni.
Ottolenghi dice basta e lo fa nel modo che gli è proprio e che tanto amiamo: senza polemica e con il sorriso. La sua è una cucina di pace, di armonia, di un miracolo che si rinnova ad ogni ricetta, quando ingredienti assolutamente incompatibili trovano un punto di incontro, fra loro e con noi. Che siano scatolette, ortaggi poveri, spezie dimenticate sugli scaffali, tutto riprende vita, in queste ricette che però, per la prima volta nella sua produzione, aprono all'interscambio: non hai il cavolo?usa gli spinaci. Non hai lo zafferano? usa la curcuma- e via dicendo, in un pacato ma convinto procedere che, a poco a poco, ci accompagna in questo nuovo percorso, dalla lista della spesa a quella delle astuzie dell'intelligenza, sempre nel segno della scoperta, della inventiva, dell'eleganza.
Non so se vi par poco: per noi, che stavamo annaspando da un po' fra le macerie di una bolla editoriale ormai scoppiata, fra un niente di nuovo e un troppo nuovo, aver trovato la linfa a cui attingere è sinonimo di quella energia rinnovata di cui avevamo bisogno. E' una luce diversa, quella accesa da Ottolenghi, ma è una luce che illumina tratti di strada ancora da esplorare: e noi siamo pronti a ripartire, dopo la pausa che ci prendiamo a Dicembre, sperando di trovarvi altrettanto entusiasti e carichi come lo saremo noi.
Al 2022, per un nuovo Starbook!