venerdì 29 gennaio 2021

THE FLAVOR EQUATION: TIRIAMO LE SOMME?

 

Uno degli aneddoti che circolavano con frequenza nei corridoi della mia Facoltà, ai tempi, era il caso di una sentenza  di divorzio emessa da un tribunale degli Stati Uniti  a carico di un marito accusato di crudeltà mentale". Pare infatti che questo raffinato campione di sadismo sfogasse  i suoi rancori nei confronti della moglie, appassionata giallista, scrivendo il nome dell'assassino alla fine del terzultimo capitolo di ogni libro, rovinando così una delle attrazioni principali del genere, vale a dire il crescendo di tensione che precede lo svelamento del colpevole. 

Era un ricordo rimosso da anni, ma che è affiorato alla mia mente qualche settimana fa, mentre scrivevo l'introduzione a The Flavor Equation: così è troppo smaccato, mi dicevo, cercando di mettere un freno all'entusiasmo che trapelava, in modo neppure troppo scoperto, da ogni paragrafo e da ogni riga. L'accusa di scorrettezza nei confronti del lettore che sentivo pendere sul capo era però affievolita dalla consapevolezza che questo libro, questo autore, potessero ben svolgere il ruolo di eccezione alla regola che ci vuole impassibili come dei professionisti del poker: senza contare l'altra consapevolezza- quella più taciuta, ahimè- che se io mi fossi trovata questo libro fra le mani, in una libreria nel deserto, ignara delle recensioni, del percorso personale del suo autore, di Ottolenghi che si strappa i capelli, di Nigella che si inginocchia, della Henry che ne recita il verbo meglio ancora che se fosse Vangelo, ecco, dicevo, io The Flavor Equation lo avrei comprato, senza se e senza ma. 

E non me ne sarei mai pentita, senza se e senza ma. 

E' anche per questo motivo che, stavolta, il Tiriamo le somme si focalizza non sulle lodi, ma sulle critiche, come è destino dei fuoriclasse: per cui, fermo restando che vorremmo vedere The Flavor Equation negli scaffali di tutte le biblioteche dell'universo mondo, ecco che cosa non ha funzionato perfettamente: 

 - l'annotazione più banale è l'editing: a parte l'erroraccio nella ricetta di Patrizia, la scelta di ripetere, ricetta per ricetta, concetti già ampiamente sviscerati non solo nella prima parte ma anche nella introduzione ad ogni capitolo, risulta effettivamente pesante. Si aggiunga che Nik non è Nigella (né potrebbe esserlo, visto che la sua cucina si gioca su equilibri fatti di sfumature)- ed ecco la necessità di qualche sonora sforbiciata che avrebbe sicuramente giovato alla fruizione complessiva dell'opera. 

- a differenza di Ottolenghi, che si è avventurato nella tradizione gastronomica  del suo Paese dopo averci presentato la sua rivoluzione in due libri di cucina de noartri, Sharma si focalizza sulla cucina indiana. Che, ahinoi, non è propriamente solo quella dei ristoranti sparsi per il mondo. Riuscire a comprendere la novità del suo approccio e la sua portata potrebbe sfuggire a chi ha palati poco avvezzi a Dhal, Biryani e miscele di spezie in genere. 

- en fin, e duole dirlo, il libro nel suo insieme è un po' freddino. Tanto ci siamo innamorati di altri autori che hanno sottratto lo spazio delle ricette per distribuirlo in capitoli utili a comprenderle meglio (l'ultimo, su tutti, è Sami Tamimi, ma sono molti i libri di questo genere che sgomitano per  finire qui sopra), quanto non ci siamo sentiti così coinvolte da The Flavor Equation.  Il che ci riporta dritti al primo punto, alla mancanza di editing che si riflette anche sull'aspetto emotivo: perché  davvero le ricette hanno una carica fuori dal comune, come dimostra l'eccezionale gradimento dei nostri lettori: a memoria, stando a quanto ho intravvisto su FB e nei commenti  conto già sei potenziali Redoner (barrette, crème caramel e lo spopolamento del cavolfiore al Kefir), il che ci conferma la grandezza non solo di questo libro, ma anche del nostro pubblico, capace come nessuno di fiutare la sostanza nella novità, la credibilità negli entusiasmi, il vero valore nella gran fuffa che ci circonda. 

E questa, credetemi, è la sola recensione che conti. 

Ci vediamo a Febbraio, con una nuova avventura. 

Alessandra G.


4 commenti:

  1. Insomma, un libro che va comprato.
    Lo immaginavo.
    La mia carta di credito ti manda un sonoro "te possino", ma stai tranquilla: le ho già detto di tacere (rigorosamente senza editing).
    Comprendo appieno l'aspetto emotivo, visto che l'emozione trasmessa da Falastin e da Summer Kitchens mi vibra ancora dentro, ma siccome adoro la cucina indiana (pur non conoscendola affatto :-) ), mi getterò a pesce su queste magnifiche ricette.
    Un abbraccio!

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  2. L'editing è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo! Credo che il messaggio sia arrivato dove doveva. p.s. Ale, ti lovvo.

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  3. Su un libro stampato, questi errori sono imperdonabili, ce ne rendiamo conto solo al momento dell'esecuzione, con un attimo di panico!
    Forse in questo l'edizione digitale è superiore? Di sicuro in quella sede si può aggiornare il file...

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