Quando ero al liceo, avevo iniziato a fare qualche incursione nella cucina di mia madre, non più da figlia affamata, ma da cuoca alle prime armi. Aspettavo che non ci fosse nessuno, dopodiché mi cimentavo con questa e con quella ricetta, cercando di nascondere le tracce degli insuccessi e costringendo il povero fidanzato di allora a cibarsi di tutto il resto, dal "più o meno sta insieme" in poi. L'allora malcapitato era tanto gentile quanto affamato, per cui non solo ingurgitava di tutto, ma trovava sempre una parola buona per non mortificare i miei sforzi: la pasta al forno collosa e dura come una pietra diventava "un gustoso mattonazzo", la zuppa di pesce esageratamente salata veniva ribattezzata "brodetto del Mar Morto", la torta che non era lievitata "merenda nella Galassia" e altre amenità del genere che davano la misura di quanto scarsa fosse la sottoscritta e di quanto temerario fosse lui. Le mie amiche, ovviamente, lo facevano meglio: i loro pan di Spagna erano soffici come nuvole, le loro creme compatte e vellutate, le pastasciutte al dente, gli arrosti rosati e sugosi. Il segreto, a quanto pare, era seguire le ricette e non farsi prendere dall'estro del momento come facevo io tutte le volte: per cui, un pomeriggio, armata della Guida Cucina della settimana, aperta sul paginone centrale della torta al cioccolato, mi ero accinta al più doloroso dei sacrifici, ossia pesare gli ingredienti- e solo quelli- e procedere secondo copione. E, secondo copione, dal forno era uscita la torta più bella che avessi mai fatto: morbida, profumatissima, facile a sformarsi, in una parola perfetta. Da lì, era stato tutto un conto alla rovescia, in attesa che il fidanzato emettesse il suo verdetto. Ricordo che nemmeno aveva varcato la soglia e già si era ritrovato con la bocca piena e la sottoscritta che gli saltellava intorno, ansiosa di prendersi la madre di tutte le rivincite.
"Fammene mangiare ancora un po'" erano state le prime parole, seguite da un silenzio sempre più pensoso.
"Daiiii, cosa ci vuole a dire che è buona" continuavo a insistere, magnificandogli la bellezza della creatura: "guarda come è cotta bene, non te l'ho nemmeno dovuta rappezzare sul fondo... e senti che profumo, senti che morbidezza..." e via così fino a quando il poveretto aveva alzato una mano in segno di resa e aveva ammesso, con tutto il suo candore, che questa torta non sapeva di niente. Siccome era gentile, aveva aggiunto che ero riuscita nella difficile impresa di trovare il perfetto equilibrio fra gli ingredienti, per cui uno annullava l'altro: ma, in cuor suo, avrebbe preferito il rischio delle torte con qualche grumo o di quelle rappezzate dopo il solito incidente in cottura che, comunque, avevano un loro sapore, una loro personalità.
Ecco: se Sabrina Ghayour avesse avuto il mio fidanzato di allora come assaggiatore, durante la stesura di Baza'ar, probabilmente avrebbe ricevuto un feed back molto simile. Non così tranchant, sia chiaro, perchè tutte le ricette di questo libro intrigano ed interessano: ma fra le aspettative (alte) e i risultati (normali) c'è una distanza troppo rilevante perchè si possa far finta di niente e condonarle un calo di ispirazione.
Al solito, è la legge dei bravi, quella che non premia: Persiana e Sirocco sono testi quasi sacri, per chi voglia accostarsi alla cucina mediorientale da una prospettiva nuova, aperta alle sollecitazioni della contemporaneità e scevra da quei debiti con la tradizione sempre più autoreferenziale -e quindi vuota- della ricetta di casa propria. Il merito indiscusso di Sabrina è stato proprio l'aver intrapreso questa strada, spazzando via dal proprio cammino le foglie morte restituendo vita a quelle sbiadite e regalando nuovi colori a quelle vigorose e tenacemente attaccate al proprio albero e di averlo fatto con coraggio, competenza ed allegria. Questo era quello che ci attendevamo da Bazaar, un passo oltre quei sentieri ormai esausti, verso le mille direzioni inesplorate della cucina vegetariana. Che ci sono e sono tante e, probabilmente, anche più a portata di mano di quanto si pensi: è solo che sono nascoste, in attesa della voce che le scopra e le disveli. Quella voce che avremmo tanto voluto che ci parlasse dalle pagine di Bazaar e che invece, purtroppo, ci ha lasciati un po' così, incerti nel giudizio, indecisi nella valutazione e, nel complesso, un po' delusi.
Ci vediamo ad Ottobre, con il prossimo Starbook!