Ormai dovreste saperlo: una sfilza di "promosso" non signifca di necessità l'esenzione dalle forche caudine del Tiriamo le somme, anzi: ultimamente, semmai, è proprio qui che finisce quel"non detto" che spesso viene omesso perchè non pertinente al singolo post ma che poi è il vero terreno su cui si formula il giudizio delle Starbookers.
E di "non detto", su Bread, ce n'è tanto- a cominciare da un giudizio generale sul piano complessivo dell'opera, il cui contenuto risente inevitabilmente del fatto di essere la terza pubblicazione in pochi anni, per giunta di poco successiva a quell'How to Bake che, al momento, appare come il testo più completo ed esaustivo dell'autore. In altre parole, è difficile sviscerare lo stesso argomento, senza modificare di una virgola il target dei lettori e scrivere in pochi anni tre libri sul pane dedicati ad un pubblico di eterni dilettanti è un'impresa non da poco. Bread ha attinto nuova linfa da una impostazione originale- un pane/una ricetta che ha quel pane come base; ma per chi avesse letto le due precedenti pubblicazioni, niente di così trascinante.
Un po' di chiarezza va fatta anche sulla questione degli agenti lievitanti, visto che ad una prima lettura il rischio di rimaner spiazzati di fronte alle quantità di lievito previste c'è. Ma "tanto" non è sempre sinonimo di "troppo", come si può comprendere se si distinguono le varie ricette in base ai diversi agenti lievitanti utilizzati.
In primo luogo, i pani preparati con il bicarbonato sono stratosferici. Indipendentemente dalle percentuali dell'agente lievitante, nelle ricette provate non solo si sono ottenuti dei risultati pienamente soddisfacenti dal punto di vista della sofficità e della morbidezza, ma anche dal punto di vista del sapore, visto che in nessun caso si è rilevato il retrogusto che, talora, il bicarbonato lascia. Da una comparazione fra ricette, è probabile che questo dipenda dalla presenza di un riposo fuori dal forno, per permettere che il bicarbonato si attivi- consiglio che Hollywood ripete ad ogni piè sospinto e che non abbiamo trovato altrove. Certo è che il prodotto finale ha fatto tutti felici- e questo è quanto basta, per assicurarsi una promozione allo SB.
Per quanto concerne i pani col lievito madre, Hollywood è chiarissimo nel riferisi al "suo" lievito madre, la cui ricetta viene data all'inizio della sezione dedicata ai Sourdough Bread. Si tratta di un lievito poco acido e molto giovane che ha bisogno di tempi più lunghi per funzionare. Quindi, alla prova del nove, se si seguono alla lettera le indicazioni dell'autore con un lievito madre diverso dal suo, il rischio più probabile è di trovarsi con un pane molto acido; ma se si prova con la sua ricetta, i risultati sono perfetti. Non va poi dimenticato che l'autore si rivolge al pubblico britannico: i tempi sono più lunghi anche perchè sono di necessità tarati sul grado di umidità dell'isoletta oltre la Manica :-): non a caso, egli ricorre sempre alla solita formula "salvatutto", raccomandando sempre di non fare affidamento al solo orologio per decidere se un impasto è lievitato o no ma all'occhio, al tatto e, più in generale al buon senso di chi sa che i lievitati son spesso refrattari alle regole e alle teorie.
Invece, qualche riserva va fatta sui pani con lievito di birra. Indubbiamente, oggi in Italia si è molto più sensibili all'argomento e, se fino a pochi anni fa nessuno si scandalizzava leggendo le ricette delle sorelle Simili, che si basano generalmente sulle proporzioni standard del mezzo kg di farina/25 g di lievito di birra, ora si tende a diminuire sempre di più il lievito ed aumentare, per contro, i tempi di lievitazione. Il motivo è principalmente legato ad una crescente sensibilizzazione verso le intolleranze in generale e gli effetti di un eccessivo consumo di lievito, in particolare, altra sostanza spesso nascosta in alimenti insospettabili. C'è poi una questione di resa finale del prodotto, nel senso che un pane a lievitazione lenta è comunque migliore, sia sotto il profilo della leggerezza e quindi della digeribilità, sia sotto quello del gusto. Nello stesso tempo, non è che sia concettualmente sbagliato rifarsi alle dosi di cui sopra. Senza contare che spesso Hollywood usa farine integrali che hanno bisogno di una spintarella in più. E comunque, si torna sempre al punto di partenza- e cioè il target. Ossia, un pubblico che si diletta e ancora non si appassiona, reclutato attraverso canali televisivi, quindi probabilmente alle prese per la prima volta con questo mondo col quale è bene non rischiare e fare appello al melius abundare è un mettersi a vento dai rischi dell'inesperienza o dell'imperizia.
Per quanto riguarda le ricette, invece, il giudizio più che positivo emesso nei singoli post si conferma e, se possibile, si eleva alla enne. Fossimo negli anni Trenta, tireremmo fuori "quel certo non so che"che di volta in volta fa la differenza- e può essere la scelta delle farine nell'impasto, il tempo di riposo o, più semplicemente, quella misteriosa alchimia che solo chi ha mestiere sa padroneggiare con sicurezza e disinvoltura. Poi, ovvio, qualche smagliatura c'è (tipo quella di non setacciare le farine prima dell'utilizzo o una marcata preferenza per la Manitoba): ma in generale, siamo di fronte ad un libro ben fatto, con una gamma di ricette che, seppure a diversi livelli, sono rese in modo tali da essere alla portata di tutti e che, come si diceva, svelano sapori soprendenti. Come si diceva all'inizio, era difficile scrivere un libro nuovo sul pane e Hollywood non lo ha fatto al 100%: ma al 99% sì e questo per noi basta e avanza...