Anche se, sia detto con la massima sincerità, ci siamo divertiti a cucinare da Pinch of Nom, è evidente che nessuna delle ricette che abbiamo scelto, da sole e nel loro insieme, valga a giustificare i record di vendita e il successo anticipati nell'introduzione. Al di là di un prodotto ben confezionato e di contenuti gradevoli, infatti, questo libro non ha nulla, dal punto di vista strettamente editoriale, che lo renda unico o indispensabile.
La ragione del suo successo va dunque ricercata altrove, precisamente nel contesto tutto britannico che fa da sfondo principale ai problemi legati all'alimentazione: non disturbi alimentari (che quelli, ahimè, son malattie e sono trasversali a ogni strato sociale) ma agli errori che si fanno nella dieta quotidiana e che portano a conseguenze sul piano della salute, su tutti l'obesità. Un contesto che vede andare a braccetto, da oltre un ventennio, il disagio sociale con la pressoché totale assenza di cibo cucinato.
E' un problema gravissimo, portato alla ribalta internazionale qualche anno fa da Jamie Oliver e dalla sua Fondazione , che va di pari passo con la diffusione del cosiddetto junk food che non è solo il cibo spazzatura comunemente identificato con patatine, bibite gasate, creme spalmabili, ma abbraccia tutto un mercato inimmaginabile per gli standard italiani, relativo al cibo pronto. Questo è presente in tutti i supermercati, di qualsiasi fascia, in maniera massiccia e preponderante: non c'è piatto che non sia riprodotto, confezionato, messo in bella vista e, soprattutto, venduto a prezzi estremamente più bassi che il cibo da cucinare. Una zuppa di carote da Waitrose (lo so perché l'ho comprata) costa poco di più dei suoi ingredienti (qui avete il prezzo di 600 g di carote, ma non ci sono solo quelle), senza contare il gas e le pentole da pulire e il tempo. E senza contare, più di ogni altra cosa, che chi va da Waitrose non ha la minima idea di che cosa sia il disagio sociale: tant'è che nei supermercati a buon prezzo, le zuppe quasi non esistono. Ci sono pies, hamburger, fishcakes, Mac&Cheese, instant noodles, più una serie di abomini che noi non riusciamo a concepire ma che sono sempre in cima alle vendite e che, soprattutto, costano troppo poco per non far venire qualche dubbio. Ma tutto va bene, purché non lo si debba cucinare.
Pensate che qualche anno fa, i produttori di cucine non di lusso avevano registrato una tale flessione negli acquisti da ipotizzare di toglierle dal mercato: non a caso, la cucina è la grande assente dalla vita di queste famiglie, sostituita da microonde e da bollitori. E, altrettanto non a caso, tutti i programmi di rieducazione e di reinserimento partono anche da qui, dalla "costruzione" di un focolare, per creare quelle fondamenta di socialità che sono radicate nella cultura del cucinare, inteso proprio come atto che afferma e cementa le relazioni e gli affetti.
Questo è, quindi, il contesto imprescindibile per comprendere le ragioni del successo di Pinch of Nom: un terreno fertile, su cui da anni battono un po' tutti, dai media alla politica, che ha portato, come primo frutto, una sensibilizzazione generale e diffusa. Parlare di ritorno alla cucina come arma contro la bilancia, in Gran Bretagna richiama mille altre istanze, tutte riconducibili ad una nuova costruzione del sé, fondata sul prendersi cura, di sé stessi e degli altri. A questo, si aggiungono modalità tutte contemporanee, non ultimo il processo di identificazione con due persone che sono ancora ben lontane dal raggiungere la mèta. Quella che, 10 anni fa, sarebbe stata valutata come una partenza ad handicap ("per principio, non vado da una dietologa grassa!", quante volte lo abbiamo sentito?), appare oggi come una comfort zone, un modo per azzerare le distanze e sentirsi tutti vicini, nel lungo percorso per la riconquista del peso forma.
Sono queste le ragioni che hanno portato alla formazione della community, prima, al milione di followers poi e, alla fine, al successo editoriale senza pari. A ciò, ovviamente, si aggiunga un prodotto serio, elaborato in modo da inserirsi in qualsiasi dieta, con ricette che risentono sì dei gusti del popolo inglese (come dite voi "acqua sporca"? "Soup"?) ma che incontrano facilmente anche i nostri.
Un successo quindi meritato, con cui ci piace concludere questa prima parte dell'anno dello Starbooks. Molto ci attenderà anche nella seconda - anzi, siamo già al lavoro da un po', per presentarvi le novità editoriali del 2022 e, soprattutto, per provarle assieme a voi.
Con l'augurio di ritrovarci a settembre, riposati, abbronzati e- perché no?- anche un po' dimagriti, grazie a Pinch of Nom!
Buone vacanze a tutti!