Giusto ieri sera, dopo che da giorni mi spremevo le meningi alla ricerca dell'ispirazione per questo Tiriamo le Somme?, si è verificato il consueto siparietto fra i miei suoceri, a proposito dei tentativi da lui messi implacabilmente in atto, a pranzo e a cena, da 50 anni, per schivare le verdure- e altrettanto implacabilmente vanificati dallo sguardo severo e dalla volontà di ferro di sua moglie. "Il fatto è- commentava mia suocera, dopo essersi assicurata che il poveretto avesse mangiato tutto- che lui è abituato a mangiare il contorno dopo il secondo, mentre io son cresciuta mangiandolo assieme". Il discorso proseguiva con altre considerazioni, ma io mi sono fermata a questo punto- e cioè al ruolo che, due generazioni fa- veniva assegnato a tutti i prodotti dell'orto, relegati ad un semplice accompagnamento dei piatti principali. Anche la generazione successiva- la mia- è partita da questo presupposto: l'eredità è in quelle scomodissime "mezzalune da insalata" che facevano parte dei corredi di tutte le nostre mamme e che appartengono ad uno degli incubi della mia infanzia, quando, appunto, le verdure erano una mezza maledizione e il fatto che avessero un posto a parte non faceva che complicare la faccenda dell'occultamento degli avanzi.
E' con la generazione dei Millennial, invece, che le cose sono cambiate e il pasto a base di verdure è diventato la regola e non l'eccezione. A sollecitare il cambiamento, sono stati numerosi fattori, su più fronti, da quello della salute a quello della sostenibilità, passando per mille altre sfumature- culturali, economiche, sociologiche, etiche e, non ultime, anche editoriali: perché se mai c'è stato un settore in evoluzione, nel mondo dei libri di cucina, è stato proprio quello dedicato a questo argomento.
La cesura, è noto, è stata praticata da Ottolenghi: non il primo, ma di sicuro il più mediatico, il più smart, il più pronto a sintonizzarsi sulle nuove istanze del III millennio, intuendo prima di tutti l'enorme potenziale del concetto di "inclusività": le verdure sono buone, perché creano spazio per tutti, onnivori compresi. Da qui, allora, le premesse per una cucina moderna, duttile e curiosa, trasversale e universale, che realizza sulla tavola quello che non riusciamo a realizzare altrove e che ha dato la stura ad un profluvio di variazioni sul tema, che hanno aggiunto molto, sul fronte dell'inventiva, ma poco su quello della riflessione.
In Praise of Veg, invece, fa quel passo avanti che attendevamo da tempo- e lo fa in maniera insospettabile, nascondendolo dietro una grafica colorata e allegra, sicura promessa di freschezza, in cucina e altrove. Al di là delle ricette- che, sia chiaro, sono bellissime- ciò che rende unico questo libro sono due novità, a corollario di un percorso di approfondimento costante che ha trasformato la Zaslavsky da una giovane e appassionata concorrente di Masterchef Australia di dieci anni fa all'autrice seria e affidabile di oggi.
La prima è la leggerezza, da intendersi nell'accezione più nobile del termine (scomodiamo Calvino? E scomodiamolo!). Tutti gli argomenti affrontati sono tematiche di assoluta importanza, dalla sostenibilità al no-spreco, passando un utilizzo delle verdure che muove dalla conoscenza approfondita di ciascuna di esse. Il tutto, però, senza quella pesantezza che di solito si accompagna a questi discorsi, quasi che la salvezza del pianeta passasse per un gambo di prezzemolo convertito in un pesto oppure gettato via. Quello che Alice Zaslavsky ha ben compreso, cioè, è che le barriere si abbattono nella misura in cui non se ne costruiscono di nuove e che le battaglie di senso sono quelle che tengono in considerazione le nostre identità- antropiche, culturali, politiche, religiose: il presente è nel segno del Flexitarianesimo (brutta parola, che veicola però un concetto bello e importante) e di una produzione sostenibile.
La seconda- udite udite- è il superamento del concetto di km 0e, di conseguenza, di stagionalità, intesi in quelle forme rigide e asfissianti con cui entrambi sono stati proposti e difesi fino a pochi anni fa. La decisione di suddividere le verdure per colore e non per stagione, infatti, va dritta in una direzione che, pur mettendo al primo posto il rispetto della Natura- e quindi anche del suo corso- si concede qualche strappo alla regola, di fronte all'evidenza di mercati e di diete che cambiano: volere l'avocado sul toast ogni mattina, per esempio, significa anche accettare di aprirsi a Paesi diversi, a stagioni diverse, le stesse che ci permettono di aumentare la nostra creatività in cucina, con abbinamenti nuovi e variegati, per far sì che le verdure mantengano nella nostra dieta il ruolo che loro compete- non più quello di comprimario, ma di assoluto protagonista.
Ci vediamo a giugno, con il nuovo Starbook!
Alessandra