"Plenty è, in poche parole, l'ennesimo prodotto dell'editoria
britannica che più amiamo, quella cioè che coniuga l'onestà e la
misura, offrendo contenuti fruibili ma non per questo piatti e
proponendo scelte alternative senza mai cadere nel rigore di estremismi
irritanti, oltre che sterili. D'altronde, a ben riflettere, un libro che
esalta la cucina vegetariana ma che ha come autore uno che vegetariano
non è non sarebbe potuto partire da presupposti diversi che questi,
quanto meno in linea teorica - e pazienza se la pratica ci ha abituato
ad autori prezzolati, disposti a vendere la loro professionalità alle
mode del momento. Ottolenghi non appartiene a questa schiera ed anzi ci
tiene a sottolineare sin dalle prime righe del libro che non intende
rinunciare ai suoi gusti ed alla sua cultura, che non demonizzano e anzi
prevedono la presenza della carne e del pesce. E tuttavia, parla di
verdure- o meglio: ne tesse un inno, che tocca tutte le corde per
spianarsi in una sinfonia inebriante, che recupera gesti e parole
antiche e li ripropone in forme nuove, vive, frementi e sempre
dichiaratamente oneste."
Era il maggio del 2012, quando la squadra dello Starbook decideva di proporre Yotam Ottolenghi ai suoi lettori e quello qui sopra è uno stralcio della recensione fatta a suo tempo: la scelta era caduta su Plenty, la seconda e all'epoca ultima fatica dell'autore, provata per voi solo in quanto più fresca di stampa: le stesse cose le avremmo infatti potute dire anche della sua opera prima, quel The Cook Book che, a dispetto di un titolo generico, proponeva invece ricette innovative e definiva in modo peculiare il profilo di uno chef unico nel suo genere, capace come pochi di dar voce a quel "mondo veg" che stava affermandosi sempre più di prepotenza sulla scena dei nuovi gusti alimentari del Terzo Millennio.
Da allora, sono passati quasi tre anni, nel corso dei quali Ottolenghi ha visto gggente e ha fatto cose, ingrandendo quello che si profila come uno dei prossimi imperi del food, con uno sbarco in televisione che ha fatto storcere il naso a qualche purista. E anche se, nel mezzo, l'uscita di un capolavoro come Jerusalem avrebbe dovuto tranquillizzare gli ansiosi, in merito alla serietà, alla coerenza e all'affidabilità del suo autore, un po' di timore restava. Ce l'avrebbe fatta, Yotam, a resistere alle pressioni dello chef system, al fiato sul collo degli editori, alla tendenza ormai consolidata che riduce la creatività dei grandi cuochi a meri brand commerciali e i loro locali a fredde catene di franchising?
Queste ed altre domande erano quelle che si affacciavano alla mente delle Starbookers, davanti a un Plenty More fresco di stampa. Ed erano domande legittime- rese tali e dall'andazzo della contemporaneità e dall'amore che nutriamo da tempi non sospetti verso questo autore. Tant'è che, contrariamente alle abitudini, la sua ultima fatica non ha scalato la lista di attesa né ha goduto di corsie preferenziali, da tanto gli entusiasmi erano tenuti a freno dai timori di cui sopra.
Ma oggi, a Starbook finito e a ricette archiviate, possiamo finalmente tirare un sospriro di sollievo, su quella che è stata l'ennesima marcia trionfale targata Ottolenghi. Che non solo non ha deluso ma, tanto per cambiare, ha sorpreso, entusiasmato, a volte quasi commosso, sfoderando l'inventiva di sempre, coniugata a quell'eticità che lo conferma una "voce sola" in un panorama di star sempre più impegnate a mettere se stesse sulla ribalta-e non la loro arte.
Abbiamo scoperto ricette originali, sorprendenti, divertenti, imparando tecniche e sapori nuovi- e questo quando pensavamo di sapere già tutto; abbiamo compreso che ogni ingrediente, anche il più piccolo, anche il più povero, concorre in egual misura alla riuscita della resa finale e che il pizzico di una spezia, piuttosto che di un'altra, non è un'espressione gastronomica, ma un'operazione del gusto; e che le Cinquanta sfumature che ci interessano per davvero sono quelle che Ottolenghi riesce a modulare su una tavolozza di sapori solo in apparenza definiti e che, una volta nel piatto, ci svelano orizzonti impensabili e irresistibili.
Al centro, ovviamente, l'umiltà di questo genio, di un uomo che sa fare un passo indietro, sa mettersi in ascolto, sa accordare la sua voce a quella dei prodotti che usa, senza mai abusarne, in nome di una creatività tutta cerebrale e solipsista: la cucina di Yotam è "di testa e di cuore", di palato e di sensi, di creatività e di tradizione, di poesia e di ragione, un inno altissimo all'incontro felice fra l'uomo e la terra,di cui tutti, nessuno escluso, dovremmo fare tesoro e da cui tutti, nessuno escluso, dovremmo prendere esempio.
Alla prossima, con lo Starbook di Marzo!