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mercoledì 14 gennaio 2015

TACOS DI PESCE E PESCE FRITTO




Amo molto Martha Stewart per essermi cimentata con varie ricette tratte dal suo splendido libro Martha’s american food, tutte perfettamente spiegate e dalla splendida riuscita. Sono rimasta quindi molto contenta che lo Starbook del mese fosse proprio un libro di questa autrice, Scuola di cucina, recentemente tradotto in italiano.

La ricetta che ho scelto riguarda la frittura del pesce. Pesce fritto che può essere utilizzato, tra le varie cose, per farcire i tacos, come da una ricetta originaria del sud della California a differenza dei tacos di pesce messicani che invece vengono preparati con il pesce grigliato.
In rosso le mie precisazioni e in calce le mie osservazioni e conclusioni.

PESCE FRITTO  Per 4 persone
Martha Stewart – Scuola di Cucina

Per la pastella alla birra
2 uova grandi
1 cup (275 ml) di birra scura messicana come la Negra Modelo birra scura bavarese
1 ½ cups (175 g) di farina (non autolievitante) farina 0
1 cucchiaio di sale grosso

Per friggere il pesce
olio vegetale per friggere olio extravergine d’oliva
900 g di pesce bianco sodo senza pelle, come merluzzo, haddock, passera, pesce specchio atlantico o nasello, tagliato a pezzi di 7,5 x 2 cm merluzzo


Preparate la pastella alla birra Sbattete le uova in una ciotolina, poi incorporate gradualmente la birra. In un’altra ciotola, mescolate la farina e il sale. Mescolate leggermente la miscela liquida negli ingredienti secchi, finché la pastella è densa e cremosa (dovrebbe avere la consistenza della pastella dei pancake). Per un risultato più croccante, è meglio che resti qualche grumo piuttosto che mescolarla troppo. Coprite e mettete in frigorifero per 20 minuti minimo (e fino a 2 ore) prima di usarla.
Riscaldate l’olio Riscaldate il forno a 90° C e rivestite una teglia con un doppio strato di carta da cucina. Versate 7,5 cm di olio in una pentola grande (di almeno 5,6 litri e preferibilmente di ghisa) e scaldatelo su fuoco medio finché il termometro per fritti o caramello segni 190° C. (Usando un calore moderato si ridurrà il rischio di impennate della temperatura, ma ci vorrà più tempo perché l’olio raggiunga la temperatura giusta che iniziando su fuoco alto).


Pastellate Quando l’olio è pronto, iniziate a patellare il pesce. Lavorando a più riprese (circa 12 pezzi alla volta per non riempire troppo la padella) immergete il pesce nella pastella con le pinze per ricoprirlo completamente e lasciare colare la pastella in eccesso nella ciotola.
Friggete Appena è pastellato, usate le pinze per immergere con attenzione il pesce nell’olio bollente e friggete finchè la crosta è ben dorata, per 5-7 minuti. Girate i pezzi una o due volte per assicurarvi che la crosta si scurisca in modo uniforme. Tenete sempre d’occhio la temperatura, dovrebbe rimanere tra 180° e 190° C (aggiungete altro olio a temperatura ambiente se necessario per raffreddare l’olio in fretta e regolare il calore). Usate un ragno o un mestolo forato per tirare fuori il pesce e metterlo a scolare nella teglia preparata. Tenetelo al caldo in forno mentre friggete il resto. Ogni volta che togliete il pesce, eliminate i pezzetti dall’olio perché non brucino né si attacchino al pesce.
Servite Quando avete fritto tutto il pesce,servite subito.




TACOS DI PESCE  Per 4 persone
Sbattete 275 ml di panna acida in una ciotolina finché è perfettamente liscia, poi incorporate il succo di lime fresco, la salsa chipotle (o adobo, con i peperoncini chipotle in lattina) e sale grosso a piacere.
Ammorbidite 16 tortillas di mais (da 16 cm) in questo modo. Tenete una tortilla direttamente sulla fiamma del fornello con le pinze finché inizia ad annerirsi, poi giratela e scaldate l’altro lato finché inizia a gonfiarsi. Tenetela al caldo sotto a un canovaccio pulito e fate lo stesso con le altre tortillas.
Impilate 2 tortillas per ogni taco e coprite con i pezzi di pesce fritto, distribuiti in modo uniforme. Guarnite con cavolo verde sminuzzato, foglie di coriandolo e rapanelli a fette sottili. Versate la salsa sui tacos e servite con spicchi di lime.



NOTE
Come sempre, la ricetta è spiegata fin nei minimi dettagli, tutti i passaggi sono molto precisi, così come le dosi degli ingredienti. Martha non tralascia di spiegare nulla cosicché seguirla è come fare una passeggiata.

La pastella alla birra immersa nell’olio si gonfia in maniera meravigliosa. Per quanto riguarda l’olio, oltre ad indicare la temperatura perfetta per la frittura del pesce, Martha spiega una cosa fondamentale, che non dice quasi mai nessuno e cioè che per abbassare la temperatura dell’olio quando si alza troppo, non bisogna abbassare il fuoco bensì aggiungere altro olio a temperatura ambiente a quello nella pentola. Nel libro inoltre vengono specificati i giusti trucchetti da seguire per avere una pastella bella croccante: non mescolare troppo la farina con la birra (lasciando eventualmente dei grumi), farla riposare nel frigorifero prima di usarla, friggere i pezzetti di pesce pochi alla volta per non abbassare eccessivamente la temperatura dell’olio. Peccato poi però, che questa pastella, perfettamente croccante appena uscita dall’olio, dopo un minuto si ammorbidisca completamente. L’indicazione che viene data di tenere in forno il pesce fino a che non si è completata la frittura, secondo me, oltre che a tenerlo in caldo, serve proprio a fare restare croccante la pastella, anche se questo passaggio conferisce alla pastella una croccantezza un po’ “asciutta”, non come quella che dovrebbe caratterizzare una pastella perfetta. Io credo che il problema dell’afflosciamento immediato risieda nel fatto che la ricetta prevede di mescolare il sale insieme alla farina invece di salare il pesce dopo la frittura. Oltre tutto ho trovato davvero eccessiva la dose del sale (un cucchiaio di sale grosso), senza considerare che ho scoperto grazie a Stefania una cosa che ignoravo e cioè che quello che viene definito sale grosso negli Stati Uniti (coarse salt) è più fino rispetto al nostro sale grosso, quindi, probabilmente, il passaggio in cui viene indicato che bisogna aggiungere un cucchiaio di sale grosso nella pastella racchiude un errore di traduzione. A me sinceramente che si parlasse di sale grosso era sembrato un po’ strano però siccome alla fine si è sciolto bene nella pastella non ci ho pensato più di tanto, anche se la dose di un cucchiaio secondo me (che fosse fino, meno fino o grosso) era eccessiva.

Anche se generalmente in molti manuali di cucina (non in tutti) quando si indica tra gli ingredienti la farina non viene specificato di quale tipo debba essere, dando per scontato che se nulla si dice si debba trattare di farina di frumento, mi sarebbe piaciuto che qui venisse specificato, anche perché ricordo che in Martha’s american food, che ho nell’edizione in lingua originale (e quindi suppongo che sia lo stesso nell’edizione in lingua originale di Scuola di cucina), la farina, in casi come questo, viene indicata come all-purpose flour, che negli Stati Uniti dovrebbe corrispondere più o meno alla nostra farina di frumento tipo 0 (e non ad altri tipi di farina di frumento o ad altre farine composte da ingredienti diversi (come quella di ceci, di mais, di farro, etc.), terminologia sicuramente più precisa della semplice traduzione in italiano “farina”.

 Per quanto riguarda l’olio di frittura, si parla genericamente di olio vegetale, categoria in cui vengono ricompresi innumerevoli tipi di olio. Considerato che poi si indica anche la temperatura in cui va fritto il pesce e che ogni olio ha un diverso punto di fumo, sarebbe stato meglio dare indicazioni più specifiche sull’olio da utilizzare.

Per quanto riguarda la ricetta dei tacos di pesce, non vengono fornite le dosi della salsa. Forse perché la lezione di cucina riguarda il pesce fritto e i tacos vengono spiegati brevemente solo per dare un’indicazione su come utilizzare il pesce. Si indica solo la quantità di panna acida e poi tutti gli altri ingredienti “a piacere”. Certo, ognuno poi così si regola secondo il proprio gusto, alla fine la salsa era molto buona, però è come se me la fossi preparata da sola.

Nell’indicare gli altri ingredienti dei tacos, si dice di utilizzare del cavolo verde. Che cosa si intende per cavolo verde? Un cavolo verza? Un cavolfiore verde? Mi sono aiutata guardando la foto e mi è parso che il cavolo in questione fosse un cavolo cappuccio bianco e quello ho usato. Credo che qui il problema sia di traduzione. Cavolo verde in italiano non significa nulla, si indica così talvolta impropriamente il cavolfiore verde o il broccolo romanesco ma non era sicuramente questo il caso a giudicare dall’immagine.


Mi sarebbe piaciuto un cenno sulla salsa chipotle, una salsa a base di peperoncini affumicati. Io l’ho trovata, insieme alla farina per le tortillas, in un negozio di alimentari sudamericani, ma certamente non è così facile da reperire dalle nostre parti. Probabilmente, essendo questo un libro indirizzato al pubblico americano avvezzo alla cucina tex-mex, non c’era bisogno di specificarlo essendo da quelle parti un ingrediente piuttosto comune, ma a mio parere, un libro che vuole essere una scuola di cucina (e non un semplice ricettario di cucina americana com’è per esempio Martha’s American food) si dovrebbe porre in un’ottica un po’ più internazionale (come di solito fanno altre scuole di cucina che spiegano cosa sono gli ingredienti non comuni a tutte le cucine del mondo) e considerare che ci sono ingredienti che non sono conosciuti dappertutto. Se un italiano in una Scuola di cucina dicesse in una ricetta di impiegare la ‘nduja penso che si dovrebbe preoccupare di spiegare cosa sia anche se ormai tutti gli italiani lo sanno e il libro fosse indirizzato a un pubblico italiano.

Inoltre, mi sarebbe piaciuto che Martha ci spiegasse come si preparano le tortillas di mais messicane a mano (come fanno altre Scuole di cucina moderne) trattandosi tra l’altro di un classico della cucina messicana e tex-mex sempre più consumato in tutto il mondo. Io me le sono preparate da sola anche abbastanza agevolmente, sarebbe bastato un piccolo cenno, anche se è vero che nel libro manca qualunque ricetta di pane e similari (e quindi è una sezione volutamente tralasciata).

Infine, una considerazione soggettiva che riguarda il gusto e non pesa quindi sul giudizio finale. Il sapore della pastella non mi è piaciuto ed è quello che alla fine caratterizza tutto il piatto e anche se solitamente proprio questi tacos vengono preparati con il pesce fritto in una pastella alla birra è anche vero che di solito si tratta di una birra chiara; in questa ricetta il gusto della birra scura dominava su tutto e sovrastava quello del pesce, ma può anche essere colpa del fatto che non ho utilizzato una birra scura messicana come suggerito (anche se qualsiasi birra scura di solito ha un sapore abbastanza intenso).



In conclusione, cercando di essere obiettiva, penso che se il giudizio debba riguardare la ricetta in sé non possa che essere positivo. Può piacere o non piacere il risultato finale ma questa è solo una questione di gusti. Il punto è che la ricetta è ben spiegata e riesce senza problemi.
Se invece ai fini del giudizio si deve tener conto non solo della ricetta ma del contesto in cui è inserita e dell’intento che l’autrice si prefigge, allora il discorso secondo me cambia. Questo non è, come altri della stessa autrice, un libro di ricette. Questo vuole essere una scuola di cucina. Il compito è ben più arduo. Non basta che le ricette riescano, si deve dare al lettore qualcosa di più, quel qualcosa che qui non viene dato, perlomeno non in questa ricetta.
La pastella, nonostante tutti gli sforzi per insegnarci i trucchi, alla fine non è croccante, senza considerare il fatto che se scuola di cucina vuole essere sarebbe stato meglio evitare l’utilizzo della birra scura, spiegare come si fa una pastella tradizionale ed eventualmente darlo come suggerimento per una pastella alternativa (ma non per il pesce, secondo i miei gusti).
Si parla di un cavolo verde che in italiano non esiste, con un evidente errore di traduzione.
Si dice di mettere il sale grosso nella pastella quando se si voleva trovare l’equivalente italiano del sale indicato nel testo in lingua originale si sarebbe dovuto tradurre diversamente.
Si indicano troppo genericamente degli ingredienti fondamentali come la farina e l’olio.
Quindi, dovrei promuovere e bocciare al contempo la ricetta, a seconda dei parametri di giudizio utilizzati.
Mi prendo tutta la responsabilità ovviamente di quello che ho scritto, che costituisce esclusivamente una mia personalissima opinione, e secondo me la ricetta (senza fare distinzioni tra ricetta e traduzione, in fin dei conti se compro un libro di ricette non ho voglia di perdere tempo a capire dove nasca l’errore) è
RIMANDATA

Lasagnapazza

14 commenti:

  1. Mari, come sempre un post precisissimo ed obiettivo sia nelle note positive che in quelle che lo sono meno :)

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    1. Grazie mille Stefania, questa volta ho fatto più fatica del solito perchè avrei voluto promuovere a pieni voti la Martha :) Magari sarebbe andata meglio se avessi scelto un'altra ricetta...chissà...

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  2. BRAVA! Questo è il tipo di analisi che ci aspettiamo da una Starbookers, con spirito obiettivo e critico senza essere distruttivo. Leggendo le tue osservazioni, mi sembra di intuire che certi risultati non pienamente positivi siano causati proprio da una erronea traduzione del testo originale.
    Ed in ogni caso quel che vedo mi sembra realizzato in maniera magistrale. Complimenti.

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    1. Grazie Patty! mai come questa volta mi fanno tanto piacere i vostri commenti, ne ho proprio bisogno :) Ho cercato di essere il più obiettiva possibile.

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  3. Mari, sai che mi sono sempre chiesta come si chiamasse in Italiano il green cabbage? La verza noi la chiamiamo Savoy cabbage--buffo che il cavolo che per noi e' "verde" in Italiano e' "bianco".
    Mi chiedevo un'altra cosa (perdona la pignoleria/pedanteria Verginiana), il quantitativo di liquido nella cup Americana corrisponde a 236.6 ml, mentre nella traduzione si indica a 275, quindi quasi 2 cucchiai di liquido in piu'. Potrebbe aver avuto conseguenze sul risultato finale?
    Last but not least, bravissima in tutto, ma ti confesso che vorrei allungare la mano e afferrare una di quelle tortillas--si vede che sono eseguite magistralmente e in confronto a quelle che troviamo qui gia' pronte, anche se di ottime marche, le tue sono davvero perfette.

    --Ann

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    1. Ma lo sai che hai perfettamente ragione Ann? Non ci ho proprio fatto caso, mi è sfuggito che la quantità del liquido (la birra) espressa in millilitri è maggiore di quella corrispondente a una cup. Mi sono fidata della conversione e non ho controllato ma in effetti ho dovuto aggiungere un po' di farina per rendere abbastanza densa la pastella (si dice che deve avere la consistenza di quella per fare i pancakes) ma non l'ho evidenziato pensando che il problema derivasse dalla farina che ho utilizzato, mentre adesso ho capito grazie a te per quale ragione era un po' troppo liquida :)
      Ho saputo anch'io che green cabbage equivale al nostro cavolo cappuccio, da qui penso l'errore di traduzione. Da noi poi si definisce bianco per distinguerlo da quello rosso, che ha la stessa forma ma appunto è di colore rosso.
      Per quanto riguarda le tortillas purtroppo temo che siano molto più belle che buone ma te le farei provare molto volentieri :)

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  4. Mari, hai analizzato tutto nei minimi dettagli, come sempre...grazie! Vorrei tanto anch'io allungare una mano per prendere un tortilla :)))

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    1. E allora allungala cara Ale, chissà che non si materializzi :) Un bacione e grazie mille a te!

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  5. Pazzesca: non arriverò mai ai tuoi livelli di precisione...ho imparato molto, ma da te! Un bacio cri

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  6. Finalmente sono riuscita a trovare un quarto d'ora di tempo da dedicare al tuo post, cara Mari!!!
    C'è tanto da dire sulle ricette che hai scelto oggi, anche perché hai incontrato più di un inciampo. :-)
    Innanzi tutto, benché io non sia certo stata tenera con la traduttrice nei miei due post, posso assicurarti, avendolo controllato, che la ricetta della pastella è stata tradotta esattamente: il sale va mischiato alla farina. E' mia opinione personale che la pastella si sia ammosciata proprio per la sua elevata quantità: essendo igroscopico, assorbe tutta l'umidità dell'aria circostante ed essendo troppo, ne attira troppa. L'errore qui è quindi della Martha, per una volta. ;-)
    La farina poi, nella versione originale è una "cake flour" con la specifica "not self raising", quindi una comune 00. Anche qui spezzo una lancia a favore della traduttrice: sono stata una lettrice accanita della Cucina Italiana negli anni '80 e '90, e per pastelle, impanare, infarinare, etc., l'indicazione era "farina bianca". Non essendo poi in presenza di un trattato sui lievitati, dove il tipo di farina è fondamentale, a me francamente non sembra una grande pecca il fatto di non aver specificato ulteriormente la tipologia di farina.
    Chapeau invece per la ricetta delle tortillas, che mi ha suscitato una domanda: in mancanza di masa harina precotta, è possibile secondo te usare le farine da polenta precotte che si trovano in commercio da noi?
    Un bacione carissima, e... al prossimo Redone! ;-)

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    1. Ah ecco, mi ha chiarito le idee, il confronto con te mi piace sempre molto. Quindi era una "cake flour" in lingua originale, hai ragione sulla farina (anch'io ero un'accanita lettrice della Cucina Italiana :) ) però farina bianca in italiano o "cake flour" in inglese secondo me è comunque un'indicazione un po' più precisa rispetto a quella che c'è nel testo italiano di questa ricetta, semplicemente "farina". Era questo che volevo dire, anche se sicuramente non la trovo una mancanza grave, quindi convengo con te.
      Per quanto riguarda la ricetta delle tortillas purtroppo no, non puoi usare le farine per polenta precotte, il risultato è completamente diverso e te lo dico con cognizione di causa visto che ho provato anch'io in passato, le tortillas rimangono spesse e dure e non si riescono a piegare. Le farine per polenta precotte sono macinate meno finemente ma non è solo quello il problema, è che la masa harina, oltre ad essere molto fine, da quello che ho capito subisce un processo che fa sì che l'amido in essa contenuto si trasformi e possa legarsi con l'acqua. Te ne accorgi quando la impasti, ha una consistenza stranissima, come il pongo. Mi ricordo che sia tu che io avevamo fatto in passato il tamale pie della Stewart. Credo che anche i tamales si facciano con la masa harina e voglio proprio provare di nuovo per vedere la differenza.
      Ciao cara Mapi, un bacione!

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  7. grazie mari per questo tuo inappuntabile contributo, davvero preciso ed efficace.
    sei davvero una redoner inside, mia cara, hai proprio fatto tuo l'approccio dello starbooks.
    cmq questi tacos mi fanno una voglia pazzesca!

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    1. Grazie mille Gaia, le tue parole mi fanno molto piacere :)
      In effetti, forse con qualche variazione, questi tacos potrebbero essere una bomba, riproverò, magari con una pastella diversa. La salsa invece era ottima!

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