lunedì 31 marzo 2014

STARBOOKS REDONE DI MARZO 2014: I VINCITORI!


Finisce Marzo, e con esso il Redone del mese: grazie come sempre per le partecipazioni attente, puntuali ed entusiaste.
Dare un giudizio diventa complicato anche per noi, talmente siete brave!
Ricordo, come sempre, che non viene giudicata da noi la ricetta in sè, ma il giudizio e l'analisi che voi ne fate come potete leggere nel regolamento.
Ed ecco i vincitori:

Prima classificata


 Un magnifico pranzo greco di La Blonde Femme



Seconda classificata

 Soda Bread di Lasagnapazza



Terza classificata

Frittelle di porri di A little place to rest


Chiediamo ora alla prima classificata di inviarci un indirizzo al quale poter spedire il premio scrivendo alla mail lostarbook@gmail.com
A tutte e tre, di tenersi pronte per il libro che ci aiuteranno ad analizzare ad Aprile, affiancandoci come Redoners del Mese!

venerdì 28 marzo 2014

NUOVA RUBRICA: I GRANDI AUTORI DELLA STORIA: MARTHA STEWART VS BETTY CROCKER


Inauguriamo oggi una nuova rubrica, dedicata ai personaggi della storia della gastronomia, la cui fama è stata consacrata dai loro scritti: a proporcela è stata Simonetta che, non paga del colpo di genio, lo ha anche strutturato in un progetto articolato e coerente, individuando un nesso logico fra l'autore dello SB del mese e quello di questo spazio- e dirle un grande sì è stato praticamente tutt'uno. Ragion per cui da oggi, per tutti i mesi in cui Simonetta vorrà, avremo questa nuova opportunità di andare oltre la recensione del libro del mese, alla scoperta dello scenario storico, sociale e culturale che fa da sfondo alla formazione di ogni singolo autore: si inizia con un'icona della società statunitense, Betty Crocker, che è l'anello di congiunzione fra Nonna Papera e Martha Stewart, personaggio fittizio ma onnipresente nelle cucine a stelle e a strisce e capace di rinnovarsi, a seconda delle istanze delle nuove generazioni: un precedente importantissimo, quindi, nella formazione dell'autrice del mese di Marzo, a cui manca solo di esser rifatta di plastica per potersi candidare all'immortalità del suo modello: che sia a questo che miri, il suo chirurgo plastico?

di Simonetta Nepi- Gluten Free Travel & Living

Oggi, negli Stati Uniti  e non solo,  a fare da grande scuola di cucina nazional popolare é la biondissima sempre perfetta e incamiciata Martha Stewart,  che ha trasformato il malessere casalingo,  cosí ben analizzato e descritto da Betty Friedan nella  Mistica della femminilitá,  in un bussiness milionario.
Molti anni prima c´é stata Betty Crocker, un icona americana, la maestra delle madri di coloro che adesso seguono il perfetto brushing di Martha.
Nel 1921 Betty Crocker rispondeva a tutti i dubbi su ricette e piatti che arrivavano nel suo ufficio clienti alla Washbun Crosby Company  e giá nel 1924 debutó alla radio nel primo show americano dedicato alla cucina. Lo show fu un successo immediato tanto che rimase in onda per oltre 24 anni con piú di un milione di ascoltatori.


Era un’epoca di grandi spostamenti delle famiglie, soprattutto verso le grandi cittá , e le donne  separate dalle madri e dalla tradizione, si ritrovarono spesso senza nessuno a insegnar loro le prime abilitá casalinghe, innanzi tutto quella di cucinare.
Il Betty Crocker's 'Cooking School of the Air' era un programa giornaliero in cui Betty aiutava centinaia di donne a risolvere dubbi e problemi culinari e di pasticceria,  e  la sua comunitá di ascoltatrici a trovava supporto e incoraggiamento nel nuovo ruolo di casalighe.
Nel  1929 inizia la grande depressione con  il tracollo di Wall Street che mette in ginocchio  la appena nata USA  e tutta la comunicazione di Betty si orienta verso ricette di sicuro successo, economiche, che minimizzimo gli avanzi.
Nel 1930 Betty lancia un baking mix, un preparato  adatto per tutti gli usi per pasticceria e panetteria, inteligentemente chiamato Bisquick (la contrazione du biscuit, biscotto e quick, veloce) e nel 1933 lancia il primo libretto promozionale “101 Delicious Bisquick Creations” con un insieme di ricette “fatte e servite da note graziose anfitrione, famosi chef, distinti buongustai,   illustri personalitá del mondo del cinema.”  come diceva la copertina

.

Il libretto, infatti, racchiudeva ricette delle star di Holliwood come Mary Pickford, Claudette Colbert e Gloria Swanson e altri vip dell’epoca (che a noi risultano veramente poco noti) come la contessa di Forceville, la contessadi Frise, Elissa Landi, la principessa  Rostislav, lo chef Joseph Cattaneo.
Negli anni ’40 la Crockers riceve 5.000 lettere al giorno .
Durante tutto il periodo di Guerra  propone ricette e piatti utili per le donne che sono tornate a lavorare per sostituire gli uomini  arruolati nell’esercito: sono piatti poveri senza carne e grassi animali e consigli su come conservare il cibo ed eliminare gli scarti. Nel 1945 a richiesta del U.S. Office of War Information, Betty  lancia per radio il programma “Our Nation’s Rations” per aiutare a gestire il cibo razionato e vengono distribuite circa 7 milioni di copie del suo libretto, Your Share, Tu condividi.
Nel 1945 la revista Fortune la nomina come la seconda donna piú popolare un America, dopo la first lady Eleanor Roosevelt. Da qui il nomigliolo, the first lady of food.
Alla fine degli anni ’40 lancia il suo primo preparato per torte,  il “Betty Crocker's Cake Mix”,  con cui semplifica e rende veloce la preparazione delle torte. Il preparato richiede l’uso di 2 uova e questo sbaraglia la concorrenza  che mette polvere d’uovo direttamente nel mix,  perché la semplice aggiunta delle uova toglie alle casalinghe il  senso di colpa di usare un preparato, dall’altro semplifica e velocizza la preparazione delle gigantesche torte americane, dove la base di pasta ha un’importanza relativa rispetto al ripieno e alle coperture (frosting).
Gli anni 50 sono gloriosi. 
Nel 1950 esce il suo primo libro Crocker’s Picture Cook Book e  le vendite rivaleggiano con quelle della Bibbia


Ne seguirá una lunga serie.
I libri di  Betty Crocker hanno ricette che sono testate, non una, nemmeno due, bensí tre volte.  La magia é in ricette affidabili, economiche e deliziose, spesso illustrate passo a passo. Il suo obiettivo é di rendere piú semplice la vita alla perfetta casalinga che vuol dimostrare il suo amore per la famiglia attraverso i dolci e i panificati.
Betty era una "confidente della cucina", una presenza materna e una guida  sicura nelle cucine di d'America.  Risponde ai dubbi che affliggono  tante cuoche casalinghe come:  "Perché non la torta non lievita?" O "Ha una ricetta per la torta di mirtilli?" Oppure "Come posso fare le frittelle soffici?"
Questa donna negli anni ’50 ha anche il suo show telesivo e le sue cucine si aprono a corsi al pubblico.



Organizza anche la gara  ‘American Homemaker of Tomorrow’  a cui partecipano  migliaia di ragazze delle superiori  con  l’obiettivo di premiare le casalinghe e le cittadine del futuro tra il 1955 e il 1977.
La prova consiste in un test di 150 domande su: relazioni familiari, i valori spirituali e morali, lo cura dei bambini, la salute e la sicurezza, l'utilizzo e la gestione del denaro, la ricreazione e l'uso del tempo libero, la gestione della casa,  la partecipazione alla comunità.

Negli anni ’50 e ’60 infatti le donne sono riportate nelle loro case,  dopo la parentesi  lavorativa della guerra, e viene proposta la vita casalinga come un paradiso, che si é rivelato peró  vuoto.
Iniziano e dimostrare segni di insoddisfazione e  Betty le segue in questo percorso  che porta i primi segnali di quella che alla fine degli ’60 diventa  la lotta per l’emancipazione femminile.
“Le donne hanno bisogno di un esempio. Ci sono milioni di donne che stanno a casa da sole facendo il loro lavoro con i bambini, pulendo, cucinando con un Budget minimo e con tutto il caos che ne consegue. Hanno bisogno di qualcuno che gli ricordi che hanno  valore”*

Nel 1967 esce il Betty Crocker’s Hostess cookbooks che conteneva non solo 400 ricette,  ma anche una serie di consigli per essere una perfetta padrona di cas:  sulla pianificazione, sulle diete speciali, menú per i bambini e altre situazioni critiche, Il volumen era rilegato con una spirale ed era di facile e pratica consultazione.
La Croker in tutti questi anni ha incoraggiato le donne a entrare in cucina e anche a  provare qualcosa di nuovo.


E siamo giá alla fine degli anni ’70. A questo punto peno vi starete chiedendo quanti anni ha Betty e quale sia il suo aspetto.
E’ lei nel 1936:



Ma anche lei, sempre giovane nel 1965


O loro:



Chi é Betty Crockers allora?
Nessuno, anche se per molti americani é una persona in carne ed ossa, alcuni  pensano sia solo vecchietta o sia morta.
Invece Betty Crockers non esiste, non é mai esistita.
E’ stata inventata nel 1921 dai dirigenti della  Washburn Crosby Company di Minneapolis, un grande mulino che nel  ‘28 si fonde insieme ad altre aziende nella General Mills
L’idea era venuta per rispondere in modo personale alle moltissime lettere che arrivavano in azienda  con domande su panificazione e pasticceria, e cosí unendo il cognome di un ex direttore, William Crocker, con il nome Betty, scelto perché sembrava allegro, sano e americano e nacque Betty Crocker, che firmava cosí:




In realtá la firma é di una segretaria che aveva vinto la gara interna.
Nulla fu peró lasciato al caso. Fu contattato un grupo di donne con un’istruzione elevata per sviluppare le caratterische del personaggio Betty .
Alla radio ’24 la prima Betty era in realtá la home economist Marjorie Child Husted, a cui si sussegono altre Betty sia nel tempo che nei vari territori di trasmissione dello show.
La prima immagine é del 1936 quando l’artista Neysa McMein realizza il ritratto della nostra protagonista unendo le varie caratteristiche fisiche di alcune impiegate dell’azienda.
A questa prima imagine ne  seguono nel tempo altre 9 che sono sempre adattate all’evoluzione femminile, come si vede nella Betty del ’86 che ha il piglio di una donna manager.
Negli anni ’50, in televisione era interpretata da un’attrice: Adelaide Hawley Cumming.
E oggi? Oggi Betty Crocker c´é ancora, piú viva che mai, é un brand solidissimo con tutti i suoi preparati per torte, biscotti e tanto altro ancora, ha anche una línea gluten free.  L’azienda ha fatto uno studio per capire quale fosse la caratteristica delle torte piú apprezzata ed é risultata l’umiditá, la morbideza, per cui quasi tutti i prodotti per cake hanno come nome super moist, super umido.
Oggi Betty Crocker comunica perfettamente anche in Internet, il suo website é stato uno dei primi del food e contiene una quantitá infinita di informazioni, suggerimenti, ricette.
Betty  é ancora contatta dalle donne via e.mail e ogni giorno alle 4 pm il suo sito ha un picco di visite delle migliaia di donne che cercano ricette per la cena. Nel mondo ha circa  1,000,000 followers su  Facebook e  30,000 su Twitter.
E’ rimasta affezionata anche la vecchia e sana carta con la 10a edizione del Betty Crocker’s cook book.


Gli affari vanno bene a  Betty,  anche perché, con la crisi internazionale di mezzo, le donne sono tornate a casa, un po’ per scelta e un po’ per obbligo,  e alcune stanno riscoprendo il piacere di stare a case.
Secondo la stessa Betty Crocker il 57% delle donne vorrebbe lasciare il lavoro per prendersi cura di casa e figli. Risulta anche che il 56% delle mamme dichiara che fa dolci molto piú frequentemente di 5 anni fa.
Lunga vita a Betty Croker allora…
(anche se a me personalmente il mix non lo venderá mai e non sono cosí tanto convinta che essere massaia in condizioni economiche medio-base, sia poi cosí paradisiaco, anche se giova al business di Betty).
Ultima osservazione, potete discutere sul gusto, sugli ingredienti e sulla raffinatezza delle proposte, sull’uso di tazze e cucchiai, ma assolutamente non si ha nulla da eccepire sia sul metodo, sull’attenzione al consumatore, sulla serietá e l’affidabilitá delle ricette.
E’ questa la scuola di Martha Stewart e di tantissimi altri autori americani e inglesi, e state tranquilli le ricette vengono.





Fonti:
http://www.bettycrocker.co.uk/The-Betty-Story
http://www.brandnamecooking.com/bettycrockercookbooks.html
http://www.dvo.com/recipe_pages/cakemixes/Over_50_Years_of_Cake_Mix_Success.html#.Uyi--vl5OHw
http://generalmills.com/~/media/Files/history/hist_betty.ashx
http://generalmills.com/~/media/Files/history/hist_bisquick.ashx

Marks, Susan (2005). Finding Betty Crocker: The Secret Life of America’s First Lady of Food. Simon and Schuster, New York, New York.
Smith, Andrew F. (2007). The Oxford Companion to American Food and Drink. Oxford University Press, New York, New York.
The History of Betty Crocker.” General Mills: History of Innovation. General Mills, n.d. Web. 12 Feb. 2013.
“About the Kitchens: Betty’s History.” Betty Crocker. General Mills, n.d. Web. 12 Feb. 2013.






martedì 25 marzo 2014

STARBOOKS RETRO'



Ancora consigli per la coppia presi da questa rivista che mi sta affascinando sempre più…
L’argomento da cui partire , questa volta è :  come deve comportarsi la perfetta moglie nel caso in cui il marito debba essere trasferito per lavoro?
L’articolo presenta come sempre dei “casi umani” : uno rappresenta la scelta perfetta e  l’altro quella pessima .Nel mezzo troviamo consigli dispensati con saggezza e moralità ineccepibile : specchio di quei  tempi.
Ricordo che siamo sempre nei primi anni sessanta, anni  “moderni” in cui le donne potevano sposarsi e lavorare nonostante esistesse un marito che, per  suo dovere, doveva mantenerla .
All’arrivo dei figli però le cose dovevano cambiare : quale donna avrebbe potuto conciliare al meglio marito-figli-casa-lavoro (in ordine di priorità, ovvio) ???
Quindi il comportamento giusto e doveroso era quello di lasciare il lavoro per dedicarsi completamente alla famiglia e non è detto che, anche in mancanza di figli la moglie si trovasse comunque costretta a lasciare il suo impiego per stare accanto al marito , per esempio, in caso di un trasferimento di lui per lavoro.

“il primo dovere della  moglie è quello di seguire il marito, di essere con lui nella buona e nell’avversa fortuna. Tante sono invece le donne che hanno rovinato il loro matrimonio perché hanno voluto ribellarsi ad una delle clausole del “contratto matrimoniale”. Forse poi si sono pentite, forse sono state in grado di salvare ugualmente la loro unione ma quante invece hanno dovuto ricorrere alla separazione legale? Molte, è indubbio. Il loro esempio valga di monito alle altre spose”
e ancora :
“la donna  che non vuole rinunciare al suo lavoro, al suo ambiente alla vicinanza della sua famiglia di origine, non si sposi! Il matrimonio richiede grandi sacrifici … ed è meglio che ci si sente incapace di affrontarli rinunci a crearsi una famiglia. Forse il giorno del sacrificio non viene mai ma se viene bisogna avere il coraggio ed essere pronti. Chi si sposa deve sapere che la famiglia viene prima degli amici, dell’ambiente, del lavoro e, per quanto ciò possa essere doloroso,anche dei propri genitori.” (La cucina italiana- novembre 1963)


Traspare ben chiaro che le necessità,  gli interessi della donna, soprattutto in quanto moglie, non venissero affatto presi in considerazione.
La donna era assolutamente dedicata a marito e famiglia.

Il suo tempo libero doveva essere impiegato per migliorare ancor di più la casa o per essere più presente, per esempio,  con i suoceri (non i proprio genitori!!! I suoceri!!!così recita un articolo… ).

Nelle pagine in cui viene presentata una giornata tipo di una massaia, con tanto di foto e domande ad hoc, ho letto di una signora che descriveva la sua serata , da donna privilegiata (per quei tempi, dico io ) :dopo cena, tv o chiacchiere con il marito fino a tardi e poi prima di dormire sempre la lettura , per circa mezz’ora, di qualche pagina di un libro.
La signora in questione non aveva figli e lavorava.
Alla fine dell’intervista ecco  le conclusioni della mitica signora Olga ,  curatrice della rubrica : “un piccolo consiglio alla signora: cerchi di eliminare quella mezz’ora di lettura alla sera . noi la ammiriamo per il suo amore alla cultura ma attenzione: la sua vita giornaliera è pesante e , anche se essa è giovane e gode di buona salute, non dimentichi che per sostenere questo ritmo di vita, avrà bisogno anche di sonno e riposo. Riservi piuttosto a questo piacere la sera del sabato o la domenica o porti la mezz’ora ad un quarto d’ora” ("La cucina italiana- ottobre 1963)

Non sia mai che la signora in questione sottragga attenzioni al povero marito! Oppure, cosa ben più grave, possa erudirsi e risultare più "intelligente" del proprio consorte!

Abbastanza allucinante! Quando leggo queste cose rimango semplicemente sconvolta! Voglio sperare che le donne di quei tempi erano in realtà più intelligenti di quello che poteva sembrare e che riuscivano comunque a dare l’immagine di moglie perfetta facendo comunque anche i fatti propri!


Rimango “basita” di fronte a tutto ciò soprattutto se penso che questi articoli  venivano scritti proprio da altre donne .
Adesso sembrano cose vecchie di secoli ma qualche ricordo della grande differenza tra maschi e femmine me la ricordo anch’io quando ero bambina….

Banalizzando, alle elementari a noi bambine erano preclusi i comodissimi pantaloni ,sarà per questo che , appena arrivata alle medie , vivevo sempre con jeans e scarpe da tennis? Erano già gli anni 70 però , e le cose , post ’68, erano cambiate assai!

E proprio a proposito di questi cambiamenti epocali di società, di ruoli, di vita, che voglio proprio vedere cosa raccontava “la cucina italiana” negli anni 70…vuoi mai che permettevano ad una donna di lavorare pur avendo avuto figli e magari  di poter leggere un libro in pace prima di addormentarsi ???

Chi lo sa? Appuntamento al mese prossimo per scoprirlo…

lunedì 24 marzo 2014

LO SCAFFALE DELLO SB: LE NOVITA' DI MARZO

Stavolta, niente panoramica sugli sconti (un po' perché non ce ne sono, un po' perchè ci tengo alla salute e mai come in queste settimane ho desiderato di NON imbattermi per caso in uno qualunque dei vostri mariti), ma una rassegna veloce delle prossime novità che abbiamo già messo nel carrello.
Le tendenze per la prossima primavera sono comunque ben delineate sul doppio binario del "mangia sano, torna alla natura" e su quello, più forzato, della cucina senza sprechi. Siccome concordiamo con entrambe le prospettive, anche quando non sono le urgenze del Pianeta e del portafoglio ad imporcele, è stato facile selezionare i titoli che seguono, complice anche la capacità di affidare messaggi impegnativi a una grafica e una fotografia che fa sembrare desiderabili pure le zolle di terra: prima di partire per la folle corsa all'acquisto, quindi, accertatevi che anche i contenuti siano validi. In questo spazio, si seleziona "a naso", forti di decenni di fregature che dovrebbero averci rese un po' più accorte: ma il condizionale è sempre d'obbligo e non c'è come la prova dello Starbooks per vanificare ogni dubbio.

Carl Legge, The Permaculture Kitchen, 146 pp., 14,95 sterline. 
L'autore si definisce un autodidatta in cucina, alla quale è stato per così dire costretto dalla produzione del suo orto, come ben sa chi ha avuto la bella idea di coltivare un pezzetto di terra di fronte a casa, illudendosi di poterne gestire i frutti con la stessa disinvoltura con cui si fa la spesa al supermercato. La cucina è l'anello indispensabile del cm 0, il punto finale di un processo che inizia con la semina e termina con l'utilizzo rispettoso e intelligente di tutto quello che si è raccolto: lavare, pulire, sbollentare, stoccare, inventare sul momento, riciclare, utilizzare quante più parti delle verdure, questo è l'ultimo imperativo di chi di biologico si riempie davvero la bocca- e non in senso metaforico. Va da sè che per coerenza anche la carne e il pesce vengano selezionati con lo stesso principio della sostenibilità, nel rispetto della popolazione mondiale e del nostro pianeta. Due punti a favore: l'organizzazione del menu settimanale e della dispensa e la traduzione veg di piatti che, in origine, vegetariani non sono.


Carina Contini's Kitchen Garden Cookbook- A year of Italian Scots Recipes, 304 pp., 25 sterline
E' arrivata anche in Italia, la moda di celebrare le proprie dimore attraverso libri che comprendano anche le ricette e, toh-che-strano, l'abbiamo appresa dagli Anglosassoni. A differenza nostra, loro ce l'hanno nel sangue e sta tutta in quella delicata distinzione fra "home" and "house" che noi, a livello linguistico, non abbiamo. Carina Contini è un'italiana che in questo momento gode di tutta l'invidia della sottoscritta, poichè è l'orgogliosa proprietaria di un meraviglioso orto vittoriano alle portedi Edimburgo, recuperato con l'aiuto del marito e di una delle più famose botaniche di Scozia, che oggi rifornisce di prodotti alcuni ristoranti della città. Questo libro è la storia della sua avventura (lo compro subito), raccontata attraverso 120 ricette scozzesi, reinterpretate da un'italiana (lasciamolo lì). La recensione su Amazon lo definisce "warm and generous": se vi piace il genere, fa per voi.


Laura R. Russell, Brassicas (cucinare le verdure più salutari del mondo)- 186 pp., 18,99 sterline
Lo sapevo che ci saremmo arrivati, a nobilitare i cavoli e i loro parenti stretti e anche se il mio palato esulta, il retrogusto è amaro: dovevamo arrivare ad una crisi mondiale, cioè, per rivalutare queste verdure che saranno anche le più salutari del mondo, ma sono di una bontà e di una versatilità che non conosce confini? E anticipo subito che non ci siamo ancora, come si vede chiaramente dal sottotitolo persuasivo, in puro stile "mangia che ti fa bene". E si va avanti, con appena 80 ricette che segneranno magari il primo passo verso la completa riabilitazione dei cavoli & Co, ma sono francamente pochine, rispetto alle centinaia di variazioni sul tema che ci ispirano le foglie di verza, i broccoli e i cavolini quando li vediamo bene allineati sui banchi del mercato. Ma d'altronde, si sa: "niente estro. siamo inglesi"...

Le Billon, K., The 7 Secrets of Raising Happy Eaters - sottotitolo: perchè i bambini francesi mangiano di tutto e come fare perchè lo facciano anche i nostri. Seguito dolente del precedente "i bambini francesi mangiano di tutto"(che non ha niente a che farecon "le Francesi non ingrassano", ma chissà perchè me lo ha fatto venire in mente,con conseguente innalzamento dei livelli di simpatia per i nostri cugini), è un manuale per genitori che, in sole sette mosse, spiega loro come insegnare l'educazione alimentare ai loro figli. La prima lezione è "insegnate loro a mangiare come insegnate loro a leggere", l'ultima "chiedete ai vostri figli di insegnarvi a mangiare". Ecco lì la falla, che è trasversale a tutti i genitori di figli che non mangiano di tutto o- peggio ancora - mangiano male: come si fa ad insegnare qualcosa che non si conosce alla perfezione? in ogni caso, ben vengano questi manuali: l'emergenza obesità infantile è nell'agenda di Obama e gli ultimi dati sono allarmanti anche per noi. E se poi fossero davvero solo sette, i trucchi per estirpare il problema, varrebbe davvero la pena di provarci...

Alain Ducasse, Cooking for kids- 168 pp, 15,10 sterline
Ecco spiegato perchè i bambini francesi mangiano di tutto: perchè i loro genitori li nutrono seguendo il ricettario di Alain Ducasse, alla faccia delle sostenitrici dell'allattamento al seno, da una parte, e degli omogeneizzati dall'altra. Da sei mesi a 3 anni, tutte le proposte contenute in questo manuale sono utili per far crescere il vostro figlio nel rispetto dei più elementari principi della nutrizione e dei più sofisticati dettami della ristorazione. Unico rischio: che rifiuti le minestrine della mensa dell'asilo e che, di fronte alla prima torta di compleanno, fatta dalle amorevoli nonne, si lamenti della texture delle creme. Ma per il resto, andrà tutto benissimo...


Buone letture
Alessandra

domenica 23 marzo 2014

1228 - TORTA GARFAGNINA - GOSETTI DELLA SALDA

torta garfagnina della Gosetti (4)

Un'altra spettacolare semplicità di Anna Gosetti ha riempito la mia casa di un profumo intenso ed avvolgente: dopo il primo piatto gustoso di febbraio, eccoci ad un dolce delizioso.  Ho scelto, questa volta, in base alla regionalità. Questa torta Garfagnina, infatti, nasce in Toscana nella sua parte più settentrionale (proprio a ridosso della Liguria), terra a cui sono molto legata e che amo infinitamente, terra che custodisce molti tra i miei ricordi più cari.

Vi trascrivo la presentazione dell'autrice:
La "torta garfagnina" è una antica e tipica specialità popolare toscana. Nel paese di Castelnuovo, che si trova appunto nella Garfagnana, per secolari tradizioni si suole servire questo ottimo dolce a conclusione del grande pranzo che viene fatto ogni anno per festeggiare il giorno di San Pietro, l'amato protettore del paese.

Considerato che San Pietro si festeggia il 29 giugno, direi che siamo leggermente in anticipo sui tempi, ma, dal momento che nessun ingrediente è legato alla stagionalità, possiamo tranquillamente mangiarne una bella fetta in qualunque stagione, senza nessun problema.  La sua semplicità mi ha conquistata, come pure il suo essere soffice e leggera. Non avevo mai adoperato il cremor tartaro e temevo di commettere qualche pasticcio. Invece la descrizione è chiara ed il procedimento non presenta alcuna difficoltà. 

Voglio premettere, nel caso non lo aveste mai utilizzato, che questo specifico ingrediente lievitante si può trovare, se non avete grandi supermercati forniti vicino casa, anche in farmacia: io devo ringraziare Mapi che me ne ha suggerito tempo fa l'acquisto...

Torta Garfagnina

torta garfagnina della Gosetti (24)

Ingredienti
500 g farina 00
200 g di zucchero
50 g di mandorle (con l'aggiunta di un paio amare, che io non ho utilizzato)
175 g di burro
3 uova
150 g di latte
40 g di un liquore ben profumato (Grand Marnier per me)
15 g cremor tartaro e 8 g di bicarbonato di sodio (o lievito in polvere)
la buccia di mezzo limone

Pelare tutte le mandorle dolci e amare, dopo averle immerse per qualche minuto in acqua bollente, poi tritarle finissime. Imburrare una larga tortiera ed infarinarla. Fare sciogliere il restante burro (non dovrà friggere) e poi lasciarlo raffreddare. Versare in una capace ciotola la farina bianca, lo zucchero, le mandorle, un cucchiaino di semi di anice e la scorza grattugiata di limone: mescolare insieme gli ingredienti, fare la fontana e rompervi in mezzo le uova intere, il burro sciolto ed il liquore. Impastare insieme gli ingredienti, amalgamandoli bene. Intiepidire il latte e sciogliere in esso il cremor tartaro ed il bicarbonato: mentre avviene l'effervescenza, unire tutto alla pasta, amalgamare perfettamente, versare la pasta nella tortiera già preparata e porla in forno caldo a 160° , lasciandola cuocere per un ora. Servirla tiepida o fredda.

torta garfagnina della Gosetti (1)

Quindi, ora, tutti all'opera, per preparare una torta profumata e gustosa, ottima merenda per i piccoli, eccellente per il tè degli adulti: potete servirla sola o accompagnata con della marmellata se vi fa piacere, o con ciò che vi suggerisce la fantasia. Per il fine pasto è perfetta, naturalmente senza accompagnamento, solo, io l'ho spolverizzata con lo zucchero a velo, ma giusto per rifinirla. Anche la presenza del liquore non crea problemi;  nella torta si avverte solo l'aroma che lo caratterizza e non il "fastidioso" (per i bimbi e non solo) sapore di "alcool" che caratterizza i dolci in cui è utilizzato.

Un piccolo suggerimento che mi porto dietro da sempre e che mi viene da un'altra grande della cucina, Ada Boni: quando dovete tritare le mandorle in ricette con lo zucchero, metteteli nel mixer insieme, così lo zucchero assorbirà gli olii delle mandorle o dell'eventuale altra frutta secca.

Nella ricetta originale, mentre vengono enumerati gli ingredienti, si parla di sostituzione con il lievito in polvere: sembra che si riferisca al bicarbonato, ma forse è una formula un po' ambigua. Io penso che in realtà siano da sostituire, eventualmente, sia il cremor tartaro che il bicarbonato, con il lievito chimico, perché entrambi sono i componenti principali di quello che si trova nelle bustine.

Ah, un piccolo particolare: la Gosetti parla di teglia ampia, senza specificare. Io ho utilizzato la solita da 23 cm e il risultato mi sembra mi abbia dato ragione. Comunque penso l'impasto possa reggere fino ai 24/25 cm agevolmente, se la volete un po' meno alta.
Insomma vale più un assaggio di mille parole ...

Buona giornata a tutti

sabato 22 marzo 2014

328 - SPEZZATINO CON ZUCCHINE E PATATE - GOSETTI DELLA SALDA



Confesso, ho scelto questa ricetta parecchio tempo fa, quando ci fu l'MTC dello spezzatino della Calugi Sisters.
Mi sarebbe piaciuto pubblicare uno spezzatino per lo Starbooks lo stesso mese della sfida. Poi i tempi della vita hanno avuto il sopravvento, e l'ho fatta molto dopo.
È uno spezzatino classico, con patate, dove le patate, oltre a dare il contributo glucidico al piatto, che per la presenza delle zucchine diventa quindi un piatto completo, dal punto di vista nutrizionale, danno il senso di un piatto povero, andando a sostituire in parte la carne. Infatti per 6 persone ci sono solo 750 g di vitella.
Come spezzatino a me è piaciuto ma non troppo. Non trovo azzeccatissima la presenza delle zucchine, che non amo molto in accoppiata con il pomodoro.
Però la ricetta in sé funziona, quindi niente da dire.


328 - SPEZZATINO CON ZUCCHINE E PATATE
(specialità ponentina)
Anna Gosetti della Salda, Le ricette regionali italiane,  Casa Editrice Solaris - p. 812

Ingredienti: 
(dose per 6 persone)
750 g di carne di vitello (da spezzatino)
500 g di patate
400 g di pomodori freschi da sugo
300 g di trombette (zucchine)
150 g di olio d'oliva
aglio – due coste di sedano – una carota – una cipolla
un bicchiere di vino bianco secco – poco brodo – sale e pepe

Porre in una casseruola di terracotta l'olio, qualche spicchio d'aglio, il sedano tritato, la carota a fettine e la cipolla finemente tranciata. Fare soffriggere, poi unire la carne tagliata a pezzetti; aumentare il fuoco e appena la carne sarà rosolata bagnarla con il vino. Lasciarlo evaporare, indi aggiungere le patate pelate, lavate e tagliate a tocchetti ed un poco di brodo.
In seguito unire i pomodori pelati e grossolanamente tritati, e le zucchine affettate in dischi di circa mezzo centimetro. Salare e pepare leggermente.
Proseguire la cottura a fiamma bassa, bagnando ogni tanto la preparazione con poco brodo caldo. È un'ottima portata dell'estate, che sfrutta le verdure di stagione.

MIE NOTE.
  • Io ho dovuto usare i pelati al posto dei pomodori da sugo avendo fatto questo piatto a febbraio. Sicuramente usare i pomodori da sugo l'avrebbe reso più buono, ci riproverò quest'estate.
  • La presenza delle zucchine mi ha lasciata, alla prova finale, un po' perplessa. Forse avrei dovuto aggiungerle un po' dopo, ma le mie si sono ammorbidite troppo. Non avevo le trombette, ma ho usato delle fiorentine chiare con fiore, che sono delle ottime zucchine aconsistenti e poco acquose. Anche in questo caso, fare questo piatto d'estate avrebbe sicuramente aiutato
  • Bene per la scelta del vitello, sia per la delicatezza dei sapori (zucchine) sia perché essendo di più breve cottura rispetto al manzo si adatta bene a questo piatto che è sì di lenta cottura, ma non delle più lunghe.

venerdì 21 marzo 2014

2140 - CAEFUS - GOSETTI DELLA SALDA



Anche per l'ultimo mese con il Classico che ci accompagna da Gennaio, e dopo i Malloreddus, ho scelto un'altra ricetta della Sardegna, stavolta dolce! 
Scavando nella memoria della mia infanzia e adolescenza, ho un ricordo molto vago di queste cioccolatine e delle codette colorate che compaiono spesso nei dolci sardi. Peccato che all'epoca la cucina non fosse un argomento di mio interesse...! Però ho recuperato negli anni :)

in corsivo le mie note

2140 - Caefus (cioccolatine sarde)
Anna Gosetti della Salda, Le Ricette Regionali Italiane

Ingredienti 

zucchero semolato 500 g
mandorle 500 g
cioccolato grattugiato (di copertura) 250 g (io ne ho usato uno fondente al 52%)
zucchero semolato o confettini - traggera (per me, codette colorate)

Scottare le mandorle in acqua bollente, pelarle, farle asciugare bene in forno a bassissimo calore, poi pestarle finemente nel mortaio, sino a ridurle in pasta (io avevo in casa delle mandorle già pelate, che ho tritato finemente nel robot da cucina, spegnendo ogni tanto il robot, per evitare di surriscaldarle). Porre sul fuoco un recipiente con lo zucchero e poca acqua (io ne ho messa  circa 180 ml, ma secondo me ne servirebbe ancora un p. Alla fine ne ho aggiunta altra, per ottenere un composto più morbido), lasciare sciogliere lo zucchero e, appena lo sciroppo comincia a filare, unire il cioccolato e le mandorle. Quando, mettendo una cucchiaiata del composto su un piatto non scorrerà troppo facilmente togliere il recipiente dal fuoco e, appena la preparazione sarà fredda, fare con essa tante pallottoline; rotolarle nello zucchero o nella "traggera" (confettini multicolori). 
Non viene indicata la quantità di acqua da utilizzare per lo sciroppo; io ne ho unita altra, e mi sono inumidita le mani per formare le palline e per far aderire le codette colorate.


A ricetta è semplice e veloce. Secondo me non ci starebbe male dell'essenza di mandorle amare, che esalterebbe ancora di più il profumo di queste "cioccolatine". Non so quanto si possano conservare, farò una prova e aggiornerò il post con il risultato. Comunque vi consiglio di tenerle in una scatola di latta, come per i biscotti...

                                                                                                                   Ale only kitchen


giovedì 20 marzo 2014

LA TRADIZIONE? NON ESISTE.

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Prendendo spunto dal classico di questo trimestre, le Ricette Regionali Italiane di Anna Gosetti Della Salda e dall'inevitabile e preannunciata constatazione delle numerose divergenze, in certi casi addirittura eclatanti, fra le versioni scelte dall'autrice e quelle che circolano nelle nostre case, ha forse un senso placar sul nascere la discussione, recuperando quanto gli storici del cibo vanno dicendo da qualche anno a questa parte in materia: e cioè che quella tradizione a cui si fa costantemente appello per rivendicare la correttezza di una ricetta, piuttosto che di un'altra, a ben guardare non esiste.

O meglio: esiste, ma è un concetto assolutamente recente, nato in Italia sul finire del Settecento e sviluppatosi poi nel corso dell'Ottocento, con il fiorire delle Cuciniere e dei ricettari di casa. Prima, la nostra cucina era tutta internazionale.
Per quanto possa sembrar strano, per periodi in cui lo spazio era percepito come pieno di insidie e i mezzi di trasporto erano lenti e mettersi in viaggio era un'impresa irta di disagi e di pericoli, la cucina antica, fino all'età del Rinascimento, fu sempre concepita nelle forme dell'universalità e non della territorialità.

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Per i Romani, strabordante esempio degli eccessi dei parvenu, la qualità del banchetto era data anzitutto dalla varietà delle portate che sarebbero state servite: il "famolo strano" era la regola e più lontani erano i luoghi di provenienza dei cibi, più soddisfatti sarebbero stati i commensali, appagati tanto nello stomaco quanto nel'orgoglio di appartenere alla città che dominava a tal punto il mondo, da poterne condensare le migliori specialità sulle tavole di chi se lo poteva permettere.

Pur con evidenti differenze, legate al radicale mutamento politico, economico, sociale e culturare delle due grandi epoche successive, la cucina del Medioevo e del Rinascimento mantiene la sua vocazione internazionale prima e nazionale poi: sono gli anni in cui la categoria dominante il pensiero è quella dell'universalità e questa, mutatis mutandis, sfonda anche le porte della cucina.
A scanso di equivoci: non è che non si usassero prodotti del territorio, anzi: per ovvie ragioni, se ne faceva un uso molto più ampio di quello odierno. Semplicemente, non si pensava alle ricette come legate ad un luogo, tutto qui.

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L'esempio più classico è dato da uno dei cibi in assoluto più diffusi nel Medioevo, vale a dire il biancomangiare, una sorta di budino preparato con tutti ingredienti bianchi. A leggere i ricettari europei dell'epoca, sembrava che si mangiasse solo quello, in Francia come in Germania o in Italia: in realtà, le differenze fra l'uno e l'altro erano notevoli, al punto che ne esistono ben 37 versioni che non hanno neppure un ingrediente in comune e vanno dalle mandorle del sud d'Italia al petto di pollo dell'attuale Turchia: però, la preparazione era la stessa e lo stesso era il suo nome, ad indicare questo afflato universalistico che ispirava i politici come i cuochi.
Non solo: parlare di "territorio", applicando il concetto a questo periodo, significa fare un'operazione sommamente antistorica: Medioevo e Rinascimento sono epoche in cui le diversità sociali vanno scandite in mille modi e il cibo è proprio uno di questi: i cibi di ricchi non sono quelli dei poveri ed esistono protocolli accuratissimi che stabiliscono le quantità da servire ad una tavola, piuttosto che ad un'altra, anche nello stesso banchetto.

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Il "territorio" invece, è un concetto democratico: appartiene a tutti quelli che vi abitano, dal nobile al contadino, dal principe al povero- e questo, per quegli anni, sarebbe stato inaccettabile.

Quand'è, allora, che si inizia a parlare di cucina di territorio - e soprattutto perchè ciò accade? La risposta, come sempre, è scritta nella Storia, in un Seicento che ci vede umiliati dal dominio spagnolo e che assiste impalcabile al definitivo sorpasso della Francia nel ruolo egemone di maestra di cibo in Europa. I Francesi ci sorpassano- e  lo fanno da Francesi, dileggiandoci, sbeffeggiandoci, accusandoci di tutti i mali del mondo. I cuochi della corte di Caterina de'Medici, che tanta svolta diedero alla gastronomia d'Oltralpe, vengono definiti "torma di Italiani corrotti" e i nostri maestri di casa che ancora parlano con passione di ingredienti, tecniche e ricette vengono messi alla berlina da Montaigne, "quasi parlassero di teologia".
Insomma, ce la passiamo male, in tutti i sensi. Ed è in questo momento, allora, che non potendo più sostenere alcun confronto internazionale, cominciamo a guardarci attorno: e scopriamo che a cambiar prospettiva, continuando cioè ad utilizzare quello che abbiamo, ma cominciando a valorizzarlo come patrimonio di un popolo, ci si guadagna.

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La cucina regionale, quindi, nasce da qui, in un periodo relativamente vicino a noi, e senza il supporto di fonti scritte: i ricettari c'erano, ma erano tutti riservati ai cuochi dei ricchi, professionisti esperti che non avevano bisogno né di dosi né di spiegazioni. Il resto, era tutto oralità e, in quanto tale perduta.
Fu così che i primi compilatori delle cuciniere argomentarono, fecero supposizioni, inventarono: e lo fecero non più per pochi, ma per molti, indirizzandosi cioè a quella borghesia che è l'indiscussa protagonista del XIX secolo, vale a dire per una cucina che non si valeva più, se non in rari casi, di cuochi professionisti, ma di cuoche più alla mano, a cui spesso si affiancava la padrona di casa, attenta ai conti e agli sprechi.
Nacque quindi una cucina tutta diversa, ma priva di quella autorevolezza che può derivare dall'antichità: i nostri studi si fermano all'altro ieri e oltre non si può andare.
Di conseguenza, le differenze fra ricetta e ricetta, fra un procedimento e l'altro sono non solo fisiologiche, ma conferma viva della nostra storia, e voler rivendicare l'originalità di una versione rispetto ad un'altra, vale fino ad un certo punto: logico, gli strafalcioni non si ammettono- e presentare come "di tradizione" una ricetta che fa uso di ingredienti atipici per quel territorio è un'operazione scorretta, che trasuda ignoranza o malafede. Ma una volta che il dibattito si restinge alla presenza o meno di un ingrediente di quel territorio, ecco che la questione diventa equivalente alla diatriba sul sesso degli angeli, senza soluzione.
O meglio, una c'è- ed è quella di assaggiare e lasciare che il palato sia il giudice ultimo del nostro piatto...

mercoledì 19 marzo 2014

327- GOSETTI DELLA SALDA POLPETTONE ALLA GENOVESE



E' la mia fissazione, qui sul web, e ve ne chiedo scusa, ma trovo che il nostro polpettone, quello fatto solo partendo dalle verdure, sia talmente strepitoso che a non divulgarlo nel modo corretto mi sembra di fare un torto a chi ancora non conoscesse questa ricetta.
Di conseguenza, era invitabile che, dovendo scegliere fra oltre 2000 ricette regionali, la mia scelta cadesse senza alcun imbarazzo su questa preparazione: salvo poi dover constatare, attonita, che il "polpettone" che si trova ne Le Ricette delle Regioni d'Italia di Anna Gosetti Della Salda non ha nulla a che vedere con il nostro.
Non si tratta di un problema di varianti, quanto semmai di base: le prime, si sa, sono l'indispensabile pendent di una cucina che ha nel'oralità e non nella scrittura la sua linea di trasmissione. Per cui, la presenza degli zucchini, anziché dei più noti fagiolini o carciofi o zucca o cardi o melanzane, ci può stare, anche se nei sacri testi non c'è. Quello che proprio non si capisce è l'inspiegabile assenza delle patate che di questo piatto sono la cifra connotativa e l'asse portante, come per gran parte delle nostre ricette.



A differenza del pomodoro, infatti, (l'altro souvenir delle Americhe che venne visto con diffidenza dalla vecchia Europa, tanto da ritardarne il consumo di quasi due secoli) e che non deve aver incontrato i gusti di noi Genovesi, vista la scarsità delle ricette storiche con questo ingrediente, le patate spopolarono letteralmente:  in Italia esse vennero portate dall'esercito napeoleonico, ai tempi della  campagna d'Italia (quella che poi finirà con il trattato di Campoformio e lo strazio di Ugo Foscolo,prima e di generazioni di studenti poi, che dietro ai calcoli politici di Napoleone si son dovuti sorbettare Jacopo Ortis e le sue lettere): al pari del pomodoro, anche la destinazione commestibile della patata, è noto, suscitò un sacco di riserve  e anche se Parmentier aveva bregato a corte, per farla accettare dalle classi alte, dai poveri venne particolarmente disdegnata: cibo da maiali o, per l'appunto, da soldati. Quando però le truppe del generale Massena passarono il confine e arrivarono in Liguria, i primi ad accorgersi della bontà di questo tubero furono proprio i Genovesi. Il problema, però, era come farlo capire alla popolazione, visto che le voci sulle pericolose controindicazioni delle patate (a farla breve, provocavano di tutto, dalla morte istantanea per avvelenamento alle flatulenze più imbarazzanti)  erano arrivate fin da noi: e qui intervenne l'Arcivescovo che, assaggiatane una e attesi invano i suoi effetti, agì con la stessa rapidità di quel fulmineo che gli stava invadendo il territorio: convocò i suoi sacerdoti e li mandò in missione, fra i poveri, per convincerli a cibarsi di questo tubero che da noi, per decenni, si chiamò "truffe" o "tartuffolo": perchè su tutto il resto, saremo parchi: ma quanto ad autoironia e amaro sarcasmo, a noi Genovesi non ci batte nessuno....




"POLPETTONE" alla GENOVESE
1,200 g di zucchine
60 g di quagliata (prescinseua)
1 cipolla piuttosto grande
olio d'oliva e burro
prezzemolo e maggiorana
4 uova 
poco pane grattugiato
una cucchiaiata di parmigiano 
sale e pepe

Pelare la cipolla e tenerla in acqua corrente per circa un'ora (non l'ho fatto: far scorrere per un'ora l'acqua del rubinetto, per togliere il gusto del "forte" ad una cipolla che, oltretutto, non va mangiata cruda, ma lessa, mi sembra francamente uno spreco, di risorse e di tempo); pulire e lavare le zucchine, tagliarle a metà per il lungo, privarle dei semi, ricavarne dei dadini e metterli in un asciughino: spolverizzarli di sale, poi appendere il sacchetto, in modo che possa colare l'acqua che emetteranno (anche qui, ho fatto diversamente: ho preso gli zucchini, li ho lavati, li ho spuntati, li ho tagliati in due e poi li ho fatti bollire per pochi minuti, quanto basta per poter togliere loro i semi: dopodiché, li ho tagliati a tocchetti. Far perdere acqua alle ucchine è inutile, perchè verranno stufate; quindi, non solo emettono acqua spontaneamente, ma l'acqua sar indispesabil perchè cuociano in umido). Tritare la cipolla e porla in un tegame, meglio se di terracotta, con olio e burro; appena prende colore, bagnatela con un cucchiaio d'acqua, poi aggiungete gli zucchini a tocchetti e fate cuocere per circa 20 minuti (solo olio, extravergine, niente burro; ho fatto appassire la cipolla unpo' di più, perchè i miei zucchini erano 'avanti' di cottura, rispetto alle indicazioni della ricetta; 20 minuti sono tanti, ma per il polpettone ci vogliono, perchè le verdure devono "sfarsi": nel mio caso, son stati venti minuti complessivi, però: 7-8 minuti per la cipolla, a fuoco basso, mescolando spesso e aggiungendo due cucchiai d'acqua e il resto per gli zucchini); togliere il tegame dal fuoco e lasciar raffreddare (se non c'è troppo liquido di cottura: altrimenti, scolate bene le verdure e mettetele da parte: il polpettone deve restare umido, ma nn bagnato)
Tritate finemente un po' di prezzemolo e un pizzico di maggiorana (viceversa: a Genova, la maggiorana si usa ancor più del basilico), unire i 60 g di quagliata (oppure una manciata di riso cotto in latte e acqua e fatto ben asciugare oppure una grossa mollica di pane raffermo, inzuppata nel latte e poi strizzata). Incorporare tutto alle zucchine, aggiungere le uova ben sbattute, la cucchiaiata di formaggio, un poco di pepe e sale. Mescolare ben bene. Prendere una teglia del diametro di circa 30 cm, ungerla d'olio, spolverizzarla di pane, versarvi il composto e livellarlo con un cucchiaino. Cospargere la superficie di pane grattugiato, irrorarla d'olio e mettervi alcuni fiocchetti di burro (io, solo olio). Porre il recipiente in forno e cuocere la preparazione a calore moderato (190°C) per circa un'ora (nel mio forno, mezz'ora)

martedì 18 marzo 2014

527 - PANDEMEINN O PAN DE MEJ - ANNA GOSETTI DELLA SALDA


Per questa ricetta del “classico” dello starbooks una delle mie “madeleines “ proustiane :
il pan de mei o melghino o pandemeinn.
Semplificando è un panino morbido dolce fatto con la farina gialla.
Quando facevo le elementari (no , i dinosauri non c’erano più, erano estinti da poco…)andavo a scuola accompagnata dalla mia mamma (almeno per i primi anni) e strada facendo mi prendeva la merenda . Si andava di solito dal panettiere ma ogni tanto anche in pasticceria. Ce n’era una piccina e semplice proprio vicina alla mia scuola .
Una mattina prendevo la veneziana, un’altra mattina una pasta frolla e un’altra mattina , il mio preferito, il “melghino” così lo chiamava il pasticcere.
Il sapore ce l’ho, da allora,  nitido e ben presente così come la consistenza e il profumo.
Mettevo il pacchettino nella cartella di cuoio foderata di tessuto scozzese e mi profumava tutti i libri e quaderni…
Nella mia vita i profumi hanno grande importanza e hanno segnato e segnano i miei periodo di vita .Spesso sono i profumi personali ma spesso sono anche quelli legati ad un piatto, ad una pianta ad una sostanza particolare (per esempio la colla coccoina che usava la mia maestra che sapeva vagamente di mandorla..)
Tra i profumi della mia infanzia c’è  anche  il profumo della mia cartella : matite appena temperate e …melghino! Quando lo mangio mi sembra davvero di fare un salto nel passato, rivedo colori,oggetti, persone …provo le stesse sensazioni che provavo da bambina.
Il potere di questo dolce è davvero fortissimo per me!
Ho provato a fare i pan de mej tante volte e spesso ho incontrato ricette che mi facevano sfornare una sorta di panetti di frolla , piuttosto duri, tipo biscotto.
Il pandemeinn invece è morbido e si scoglie quasi in bocca, è burroso e zuccheroso e mangiandolo, si incontrano i granelli più grossi della farina gialla, quella macinata grossa, che li rende particolari e originali.
Questi sono perfetti e dovrete solo regolare bene la cottura per sfornare dolcetti soft e profumati.
Io, non avevo in casa i fiori di sambuco, che regalano un profumo ancora più speciale a questo dolce dei mie tempi…ecco la ricetta :

PANDEMEINN o pan de mej

Ingredienti:
200 gr. farina gialla grana fine
150 gr. farina bianca
100 gr farina gialla a grana grossa
150 gr burro
100 gr zucchero semolato
15 gr lievito di birra
3 uova
poco latte
3 cucchiaini di fiori di sambuco (io non li ho messi ma si trovano nelle erboristerie e nei negozi di spezie forniti)
zucchero vanigliato
olio e farina per la placca
sale

Mescolare le tre farine , aggiungere un pizzico di fiori di sambuco, un pò di sale, lo zucchero semolato, le uova e il burro (fatto prima fondere). Mescolare con cura e unire il lievito già sciolto con un poco di latte tiepido. impastare bene unendo, se necessario, altro latte. Quindi fare una palla, metterla in una ciotola coperta con un telo e far lievitare per circa un’ora in luogo tiepido.
Ungere una placca da forno e spolverizzarla con farina bianca (io ho usato la carta forno).
fare con la pasta lievitata tante piccole pagnotte lievemente  schiacciate da circa 10 cm di diametro  e metterle sulla placca tenendole distanziate, perché cuocendo tendono ad allargarsi.
Corsparegere i pani con un po' di zucchero vanigliato e fiori di sambuco.Metterli in forno caldo a 190° (nel mio forno a 180°) per circa mezz’ora.

I pandemeinn non devono essere troppo coloriti e devono rimanere morbidi, quindi controllate la cottura per evitare di avere “panini” troppo abbronzati e troppo secchi.
Nel mio forno sono stati sufficienti poco più di 20 minuti.

Esistono molte varianti di questi dolcetti e anche la Gosetti ne riporta ben tre versioni .
Questa è la prima che sarebbe quella “ufficiale” e questa ho fatto.


Fare i “melghini” (come li chiamo io) mi ha reso felice soprattutto perché ho ritrovato gli stessi sapori di allora…un grazie dunque a questo libro “antico” che mi ha regalato questo dolcissimo e piacevolissimo remember…



lunedì 17 marzo 2014

MARTHA STEWART'S CAKES: TIRIAMO LE SOMME?


Se avete seguito sino ad oggi lo Starbook del mese, non dovreste aspettarvi sorprese, da questo Tiriamo le somme: le ricette sono riuscite tutte ed anche i rarissmi flop sono stati causati dalle trasgressioni di noi autrici, un po' per distrazione, un po' perchè la stagione è quella che è e noi siam quelle che a marzo le ciliegie non le compriamo (ma magari decidiamo di farci una torta, scegliendo proprio quella lì fra le duecento proposte del volume ma tant'è: se non fossimo così, non ci saremmo scelte). 
In ogni caso: alla luce dei risultati delle due settimane appena trascorse,  venirvi a dire che questo  Martha Stewart's Cakes si è rivelato uno strumento di consultazione pienamente affidabile provocherebbe lo stesso effetto sorpresa de "l'assassino è il maggiordomo": praticamente, nullo. 
Il che, si chiaro, è una formulazione più che sufficiente per chi non aspetta altro che una parvenza di giustificazione per dar sfogo all'acquirente compulisvo che alberga in lui: ma siccome teniamo coscienza, proviamo a dare un supporto critico alle nostre affermazioni, partendo, una tantum, dalla domanda inversa rispetto a quella con cui siam soliti iniziare il Tiriamo le somme- e cioè, non CHI DEVE, bensì CHI NON DEVE comprare questo libro. 
La risposta è banalissima, da tanto è palese: chi è convinto che la pasticceria sia quella che si misura col bilancino del farmacista, fatta di alchimie, più che di dosi, e di tempi lunghi e di pazienza, può comodamente lasciare Cakes sugli scaffali della libreria. Con ragione, ovviamente: anche a chi scrive è stato insegnato che la pasticceria sta alla cucina come la farmacia alla medicina: come dire, se altrove andare a occhio è spesso sinonimo di innato talento, nella preparazione dei dolci ci vogliono bilance, dosatori, persino contagocce. Tutti strumenti che mancano, sia dal libro della Stewart sia, più genericamente, dalla pasticceria statunitense che, da sempre, nasce con le misurazioni approssimative delle cups e degli spoon: il che, per un francese, cresciuto all'ombra del 72 di rue Bonaparte, è l'equivalente di una bestemmia in chiesa. 
Per il resto del mondo, invece, questo è un libro da mettere nel carrello: anche per chi ha già una collezione di testi sull'argomento e dell'ennesima edizione della NY Cheesecake ne ha fin sopra i capelli. E questo, per merito esclusivo, assoluto ed indiscusso della Stewart, che anche in questo caso si conferma la Marthissima di sempre, colei che, in quanto a "star sul pezzo" e non sbagliare un colpo, non è seconda a nessuno, meno che mai alle sue più giovani e rampanti epigone. 
Checché se ne dica, il pregio della Stewart è di essere sempre onesta con il suo pubblico: ha scelto un'onesta fascia nazional popolare, ha scelto di ammantarla di uno stile leggermente più elegante di quello che le era consono, ha scelto di divagare, con altrettanta misura, su tematiche abbordabili ai suoi seguaci. E' questo "leggermente" che ha fatto la sua fortuna, questa sua capacità di arrivare al limite delle esigenze del suo pubblico, stupendolo senza spaventarlo, proponendogli i piccoli passi avanti in modo confortante, quasi materno: ti spiego come fare a sfornare la migliore coffee cake della tua vita- e poi ti propongo mille variazioni sul tema, quasi che tu possa lanciarti da vette sempre diverse, ma ogni volta con il paracadute. Ti svelo i segreti della vera NY cheesecake, ti insegno a far torte rovesciate, ti rendo parte dei miei "effetti speciali", nella misura in cui so fin dove puoi arrivare: è Martha, che segna la rotta, è Martha che tiene il timone, da qui a lì- e in quella direzione. E' questo che la rende così amata dai suoi fans, che non le invidiano la ricchezza ed anzi, le tributano omaggi costanti, acquistando la sua linea di prodotti con la gratitudine di chi, lungi dal sospettare di stare oliando una macchina da soldi, sa di essere debitore a questa signora di tanti spicchi di felicità. 
E' marketing, sia chiaro: ma nella misura in cui esso muove verso un progetto di crescita del proprio pubblico, è positivo. E lo è ancora di più se lo si confronta con il nostro panorama italico, dove le occasioni per trasmettere un sapere molto più robusto e variegato si sono stemperate in un invito alla millanteria (Parodi) o alla carriera facile (Masterchef) o all'aver ridotto a investimento modaiolo uno dei patrimoni che tutto il mondo ci invidia (gran parte delle proposte editoriali). Noi sì, che avremmo potuto stupire il pubblico del Terzo millennio con effetti speciali, con l'orgoglio e la fierezza di chi è consapevole di essere l'ultimo anello di un'eredità millenaria - e di avere per questo il dovere di divulgarlo, a chi verrà e a chi già c'è e non ha avuto il privilegio di poterne fare parte. Invece, ci siamo appiattiti sui peggiori modelli, ritrovando il nostro vigore solo per criticare la Stewart e il suo impero. Quasi che i nostri pendant - che di questo patrimonio fanno strage, a botte di frolle comprate e cibi finti in posa-  fossero costretti all'elemosina, agli angoli delle strade.
Avercene, di Martha Stewart. 
Avercene...

sabato 15 marzo 2014

FLOURLESS CHOCOLATE ESPRESSO CAKE - TORTA AL CIOCCOLATO E CAFFE' SENZA FARINA


Quando è uscito Cakes di Martha Stewart non abbiamo avuto dubbi, doveva essere uno dei nostri libri! Oramai la Martha la conosciamo tutti, non perde un colpo, e dopo American food, non potevamo non provare le sue Cakes. Che poi molte di noi conoscono bene anche i suoi Cookies e davvero non c'è due senza tre.

Nel frattempo però è arrivata una quasi primavera, e io di fare torte all'americana non avevo tantissima voglia, insomma, non mi sentivo particolarmente motivata.

Anche perché è vero che Martha è bravissima, e i suoi dolci uno spettacolo, però a far venir bene una torta con 6 uova, la panna, e un profluvio di zucchero e cioccolato non sembrerebbe difficile.
Vuoi mettere un bello strudel, che di uova ce n'ha una se va bene, di zucchero un cucchiaio, ed è una gioia per il palato?

Comunque alla fine la torta l'ho fatta, e sono stata sonoramente smentita.
Anche se non è esattamente una torta light, è buonissima, ed è piaciuta a tutti, glassa compresa.
Come al solito viene perfettamente, e le indicazioni for dummies di Martha, chiaramente pensate per un lettore non tanto esperto, sono precisissime, dalla forma che devono avere i picchi delle chiare montate a neve, ai tempi di utilizzo delle fruste elettriche.



Che vi devo dire?

L'amerikana mi ha stregato anche questa volta


FLOURLESS CHOCOLATE ESPRESSO CAKE

TORTA AL CIOCCOLATO E CAFFÈ SENZA FARINA
(da Cakes di Martha Stewart)

Ingredienti
(per 8 persone)
Per la torta
3 cucchiai di burro non salato +  quello per imburrare la tortiera
170 g di cioccolato fondente (preferibilmente 70% di cacao) a pezzetti (¶)
6 uova
1 tazza di zucchero
1 cucchiaino di estratto di vaniglia (¶) (io ho usato zucchero vanigliato hand made, ottenuto mettendo le bucce delle bacche di vaniglia, via via che le uso, in un barattolo che rabbocco via via con lo zucchero)
3 cucchiai di caffé solubile (io normale, 4 cucchiaini) (¶)
1/4 cucchiaino di sale


Per la glassa

85 g di cioccolato fondente (¶)
1 e 1/2 cucchiai di burro non salato
1/3 tazza di panna fresca
1/3 di tazza di zucchero
2 cucchiaini di estratto di vaniglia (vedi la nota sopra sull'estratto di vaniglia) (¶)
1 cucchiaio di caffé solubile (io normale, 1 cucchiaino) (¶)
1/4 cucchiaino di sale

Per accompagnare
Gelato (opzionale) (¶)

Gli ingredienti contrassegnati con il simbolo (¶) sono alimenti a rischio per i celiaci e per essere consumati tranquillamente devono avere il simbolo della spiga barrata, oppure essere presenti nel prontuario dell'Associazione Italiana Celiachia, o nell'elenco dei prodotti dietoterapici erogabili, o riportare sulla confezione la scritta SENZA GLUTINE.

Preparazione
Preparare la torta:
Scaldare il forno a 180°.
Imburrare una tortiera con fondo sganciabile da 23 cm di diametro. Rivestire con carta-forno.
Fondere burro e cioccolato a bagnomaria (io nel MW)
Sbattere con le fruste elettriche i tuorli d'uovo con 1/2 tazza di zucchero  finché sono gonfi e spumosi (ci vorranno circa  per 3 minuti).
Aggiungere il caffé solubile e il sale, quindi mescolare per 1 minuto. Aggiungere anche il cioccolato fuso e l'estratto di vaniglia. Mescolare per 1 altro minuto.
In un'altra ciotola, perfettamente pulita, montare le chiare a neve con uno sbattitore elettrico a media velocità finché non diventano spumose. Aggiungere la restante ½ tazza di zucchero e continuare a sbattere per circa 5 minuti, finché si formano dei picchi sodi.
Usando una spatola, incorporare le chiare montate a neve nella miscela di cioccolato in tre volte.
Trasferire il composto nella tortiera, e far cuocere in forno per circa 40-45 minuti.
Togliere dal forno e mettere su una gratella a raffreddare completamente, lasciando la torta nella tortiera.
Quando è fredda togliere il bordo sganciabile e trasferire con cautela su un piatto da portata.

Preparare la glassa:
Mettere la cioccolata, il burro e la vaniglia in una ciotola che regga al calore.
Mettere in un pentolino gli altri ingredienti (panna, zucchero, caffé solubile) e far prendere il bollore, mescolando per sciogliere perfettamente lo zucchero e il caffé solubile.
Versare sopra la cioccolata.  Mescolare finché non si è fusa perfettamente e il tutto è ben amalgamato.
Servire la torta con la glassa calda e palline di gelato, se si desidera

MIE NOTE
  • ho usato del cioccolato al 75% ed è stata una scelta giusta. Fosse stato più dolce sarebbe stato stucchevole.
  • non ho usato l'estratto di vaniglia, che non avevo, perché uso sempre zucchero vanigliato per i dolci, che ottengono semplicemente mettendo i baccelli di vaniglia aperti che mi avanzano dalla preparazione di creme varie in un barattolo che rabbocco via via con lo zucchero. Il risultato è profumatissimo 
  • non ho usato il caffé solubile, perché quando sono andata ad aprire la confezione ho scoperto con orrore che era ammuffito ed era domenica. L'ho sostituito con caffé in polvere normale, riducendo un po' le quantità, e il risultato è stato perfetto. 
  • da quando ho scoperto come viene bene nel micro-onde io non uso più il bagnomaria per fondere il cioccolato: basta usare il micro-onde a bassa potenza. Il risultato è ottimo, e non si rischia che ci finisca dentro il pericolosissimo schizzo d'acqua
  • il gelato non ce l'ho messo, mi sembrava già abbastanza ricco così
  • la presenza di un elevato numero di chiare lo fa montare un po' tipo soufflé, e poi quando raffredda inesorabilmente si sgonfia, ma l'effetto crettato della crosticina croccante ha un suo fascino estetico
  • il contrasto fra la crosta croccante e l'interno morbido e cioccolatoso è perfetto, ed acuito dalla glassa
  • l'unica osservazione che mi permetto di fare a questo dolce riguarda la dimensione della tortiera: viene una torta abbastanza alta, forse troppo per i miei gusti, dato il sapore molto intenso e la consistenza non certo light. La prossima volta proverò a farla in una tortiera più grande, in modo da ottenere una torta più bassa
  • last but not least, è una torta che, vista l'assenza di farina, è naturalmente senza glutine, a patto ovviamente di utilizzare, per gli ingredienti a rischio, prodotti certificati senza glutine.
Tirando le fila, questa torta ha riscosso un generale consenso ed è assolutamente

PROMOSSA